Attualità (27-07-2014)

L’ASINO DELLA PARROCCHIA

Tre contadini si misero d’accordo di avere in comune un asino per lavorare i loro campi. Il primo contadino fece lavorare l’asino da mattina a sera e poi lo portò nella stalla senza dargli da mangiare: “ci penserà domani il mio amico”. Il secondo contadino fece lavorare l’asino da mattina a sera e poi lo portò nella stalla senza dargli da mangiare: “ha già mangiato ieri e mangerà domani”. Il terzo contadino fece lavorare l’asino da mattina a sera e poi lo portò nella stalla senza dargli da mangiare: “Sono sicuro che ci hanno pensato gli altri”. La mattina seguente trovarono il povero asino morto stecchito.
Come faceva Gesù, abbiamo usato questa parabola per destare l’attenzione di chi legge.
Il parroco è un po’ come l’asino della parabola. Tutti chiedono e dicono quello che dovrebbe fare: pensare ai giovani, assistere gli infermi, benedire le case… Tutti chiedono, ma pochi danno. Se tutti chiedono pensando che tocchi a qualcun altro fare… l’asino muore, così ci insegna la parabola. L’atteggiamento giusto sarebbe: “Poiché sento la necessità e l’utilità di quanto chiedo, mi metto a disposizione per farlo, soprattutto dove c’è più bisogno”.
La parrocchia vive non con il tanto di pochi (il prete e pochi altri), ma con il poco di tutti. Siamo tutti asinelli di Dio, o (perché qualcuno non si offenda a sentirsi trattare da asino) “operai nella vigna del Signore”.
E l’obiettivo comune sono i frutti belli e abbondanti della vigna, che, uscendo dall’esempio, sono l’annuncio e la testimonianza del vangelo e l’adesione alla comunità di sempre nuovi fratelli, attratti dall’esempio di coloro che ne fanno già parte.
Perché questo avvenga, non basta la testimonianza personale e individuale, ma è necessaria anche la testimonianza comunitaria.
Il Concilio afferma con chiarezza che la comunità è il soggetto che annuncia la parola, che celebra i sacramenti e che testimonia la carità. Si è abituati piuttosto ad essere “clienti” della parrocchia e destinatari dei suoi servizi, ma se pensiamo la parrocchia come comunità, ognuno ha, al suo interno, un ruolo e un compito da svolgere, così come, direbbe S. Paolo , le varie membra del corpo. Il prete, allora, non è l’asino che porta tutto o la maggior parte del peso della parrocchia, ma è colui che presiede, che coordina, che sostiene e motiva continuamente lo stare insieme e il lavorare insieme della comunità.
E assolve a questo compito non da solo, ma attraverso organismi che la chiesa del Concilio ha previsto esplicitamente: il Consiglio Pastorale e il Consiglio per gli Affari Economici. Spesso si è pensato che siano strutture inutili e che fanno perdere tempo, ma in una visione di chiesa conciliare e in vista della affermazione della chiesa come comunità, sono essenziali. Essi non sono solo per consigliare il prete, che spesso , oggi sempre di più resta in una parrocchia un certo numero di anni, mentre i laici e la comunità restano e proseguono il cammino nella sequela del Vangelo. Una comunità così organizzata dà al parroco il vero ruolo: quello di servitore dell’unità, anche attraverso l’annuncio della parola e la celebrazione dei sacramenti, e l’accompagnamento nella ricerca e nell’attuazione della volontà di Dio.
Così, ogni comunità ha una sua identità e si propone un suo proprio cammino, e le parrocchie non sono esecutrici di programmi uguali per tutte, né ripetitrici di feste, manifestazioni ed eventi e programmi sempre uguali.
Il Consiglio pastorale, i cui membri sono eletti in massima parte dalla comunità, elabora il programma pastorale sulla base delle esigenze vecchie e nuove che, alla luce del vangelo e del magistero ecclesiale, emergono nella realtà umana in cui la parrocchia è inserita, e il Consiglio per gli Affari Economici, non serve solo ad amministrare le risorse e decidere i lavori da fare, ma deve continuamente valutare l’uso delle risorse e del patrimonio secondo le finalità proprie della comunità cristiana, che sono: l’annuncio del vangelo e la catechesi, la celebrazione dei sacramenti, la carità e l’accoglienza dei poveri. Queste finalità sono di pari dignità; non ci n’è una che sovrasta le altre.

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