attualità (1-07-2018)

LA COMUNITA’ CRISTIANA DI FRONTE ALLA SOFFERENZA

Un dato che colpisce leggendo i vangeli è l’alto numero di malati nel corpo e nella mente che Gesù incontra nel suo ministero. L’incontro con questa umanità sfigurata sembra segnare in modo decisivo l’umanità stessa di Gesù nel senso della compassione e dell’attenzione all’uomo nel bisogno. Gesù esprime la sua missione con le parole: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mc 2,17). Le guarigioni che Gesù compie appaiono come “Vangelo”, come manifestazioni del Regno di Dio, come profezie del tempo in cui nessuno più dirà:” Io sono malato” (Is 33,24).
La malattia “svela la realtà”, nel senso che la denuda, la spoglia di tutti gli abbellimenti e le mistificazioni e, mentre la mostra nella sua crudezza, la restituisce anche alla sua verità. La malattia ricorda all’uomo che la vita non è in suo potere, non gli è immediatamente disponibile, e che la sofferenza è il caso serio della vita. Certo, gli esiti della malattia sono diversi, mai scontati, sempre imprevedibili, e sono anche i più diversificati: abbrutimento, ribellione, rimozione, indurimento, ma anche semplificazione, ritrovamento del centro e dell’essenziale della vita, affinamento, purificazione… Nella malattia l’uomo è chiamato alla responsabilità di “dotare di senso” la propria sofferenza.
Forse, la questione umana e spirituale più grave che oggi emerge circa la malattia è quella della sua riduzione a problema tecnico, che nasce dall’ottica esclusivamente clinica con cui la si considera sottraendole, di fatto, al problema del senso.
Il cristiano, di fronte alla malattia, si trova chiamato ad affrontare tutte le incognite che ogni uomo incontra nella malattia, ad attraversare le fasi che ne accompagnano l’insorgere e l’evolversi, a vedersi confrontato con reazioni che egli stesso non si sarebbe aspettato e, inoltre, a comporre la sua nuova situazione con la fede.
E’ con il malato che si identifica Gesù, non con chi va a trovarlo, o con chi lo accompagna: “Ero malato e siete venuti a visitarmi” (Mt 25,36). Anche nella chiesa, dunque, il malato va visto non in un’ottica semplicemente assistenzialistica, ma assunto come il portatore di un insegnamento: c’è da porsi al suo ascolto, da imparare da lui nella sua situazione di debolezza. La stessa cosa vale nell’ascolto dei poveri. Nell’uno e nell’altro caso prevale, negli operatori e nei ministri, l’atteggiamento del “fare”, e l’ascolto è finalizzato a capire cosa bisogna fare. Quando negli incontri di formazione si cerca di spiegare il significato vero dell’ascolto, si va sempre a finire col domandarsi: “Che fare?”. Questa però è la logica che mette al centro l’operatore e il ministro, e non Gesù, che è presente nel povero e nel sofferente, e parla al ministro, e, attraverso di lui, a tutta la comunità. I sofferenti e i poveri evangelizzano la comunità.

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