Attualità (13-01-2019)

TEMPO DI DISOBBEDIENZA

L’11 febbraio 1965 un gruppo di “cappellani militari in congedo della Toscana” emette un comunicato in cui, dopo aver tributato un riverente e fraterno omaggio a tutti i caduti per l’Italia, concludono che “considerano un insulto alla patria e ai suoi caduti la cosiddetta “obiezione di coscienza”, che “estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà”. Gli obiettori di coscienza condannati tra il 1945 e il 1965 erano circa 200 e la principale motivazione era la fede religiosa. La legge che ammette l’obiezione di coscienza alla leva militare è del 1972.
Don Lorenzo Milani risponde con un breve testo che, successivamente fu pubblicato col titolo: “L’obbedienza non è più una virtù”, nel quale afferma: “paroloni sentimentali o volgari insulti agli obiettori non sono argomenti”. La retorica, allora come oggi, nasconde la mancanza di argomenti. Anche l’insulto lo vorrebbe fare. Chi insulta, sembra dire don Milani, si fa scudo dell’offesa per nascondere a se stesso la propria debolezza.
Il prete fiorentino non vuole discutere “l’idea di patria in sé”. Perché in sé l’idea di patria divide, porta a pensare che “italiani e stranieri possano lecitamente, anzi eroicamente squartarsi a vicenda. Si può distinguere tra guerre di offesa e di difesa. Ma Milani fa un excursus col quale dimostra che negli ultimi due secoli, le “nostre guerre sono state soprattutto guerre d’offesa, di conquista, a volte addirittura di tradimento” E prosegue: “Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri”. Questo è il posto dei cristiani. Con gli oppressi. E, anche, laicamente, il posto di chi è al servizio della Costituzione almeno fino a che non siano stati rimossi gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza reale dei cittadini (v. art: 3).
I soldati delle nostre guerre, scrive ancora don Milani “sono stati trasformati in aggressori dall’obbedienza militare” Nessuna condanna. Ma nemmeno per gli obiettori deve esserci condanna, almeno non quella di essere vili. Pagano con la prigione: “Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello star dalla parte di chi ce li tiene!”
E oggi, come sempre, la politica, a tutte le dimensione, ha bisogno di “profeti” che aiutino a guardare lontano e a pensare in grande.
Don Milani afferma che, sia laicamente che cristianamente l’obbedienza non giustifica mai da sola la nostra azione responsabile.
I gerarchi nazisti accusati al processo di Norimberga dei crimini commessi durante la seconda guerra mondiale si difesero sostenendo che avevano eseguito ordini superiori ai quali non si poteva disubbidire.
“Badate che l’opinione pubblica oggi è più matura che in altri tempi”, scrive ancora don Milani. Era il 1965; oggi, 2019, lo direbbe? L’obbedienza burocratica, che non prova nemmeno a usare i mezzi che la Costituzione garantisce per resistere, è in sé male se va a opprimere le persone.
Il tempo in cui la retorica e gli insulti fanno ammalare la vita civile e politica è sempre il tempo giusto per esercitare la resistenza, anche attraverso forme di disobbedienza civile resa possibile dalle diverse forme di autonomia che la legge prevede per gli enti e le istituzioni. La disobbedienza civile può essere un vero servizio alla politica quando questa dimentica che la sua unica ragione di esistere è il bene comune.

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