Attualità (20-01-2013)

CELEBRARE  LA FESTA

Il Vangelo di oggi (le nozze di Cana), ispira una riflessione sul senso della festa. Abbiamo da poco celebrato le feste del ciclo del Natale, ci accingiamo a celebrare quelle del ciclo della Pasqua, tra le quali si inserisce, a Massarosa, la festa della Madonna del Carmine.
Ogni festa è ripetizione e novità. Sempre quel giorno, sempre quei riti, sempre quegli elementi indispensabili e significativi. E, di fronte a nuove proposte si dice : “Si è sempre fatto cos’”. Ma se il tutto si risolve nel ripetere ciò che abbiamo sempre fatto, sarebbe una noia totale. Ogni festa comporta l’attesa che accada qualcosa di nuovo e di diverso. La domenica è la festa settimanale dei cristiani, ma, nonostante ciò, essa appare spesso una grande noia, soprattutto per i piccoli,: è statica e ripetitiva. Rispetto alle celebrazioni prima del Concilio si sono fatti dei passi in avanti: canti, preghiere, gesti, ma anche questi sono diventati routine, e il problema si ripresenta.
La prima questione è che si deve realizzare non solo una festa esterna, ma una festa dello spirito, che viene vissuta nella fede. Bisogna mettere insieme il cammino e la vita di fede e i vari elementi di ordine umano, storico, antropologico, culturale, pedagogico e pastorale. E’ la fede che fa la festa, prima di ogni altra considerazione.
La ripetitività si esprime anche nei canti: un repertorio poco vario, ripetitivo non aiuta il clima della festa. Perché non ci sono dei bei canti che si cantano solo in quella festa? Può sembrare paradossale, ma quando la liturgia era in latino, c’erano dei canti propri delle singole feste.
Nella festa, poi, ha un particolare significato la Parola e le parole. Il cambiamento della lingua nella liturgia ha avuto una forza dirompente e straordinaria, ma oggi, per alcuni, sta diventando un conquista da modificare. La parola  è lo strumento attraverso il quale comunichiamo e ci facciamo capire, se annunciamo il Vangelo in una lingua incomprensibile, diventa un’azione incoerente, ma anche se lo annunciamo con un linguaggio che era proprio di cinquanta o cento anni fa. Così sono diversi canti, soprattutto mariani, ma non solo, che fanno parte della devozione tradizionale, ma oggi esprimono concetti e sentimenti lontani dal sentire comune e dalla fede. Pregare e cantare con parole che non sono intese e sentite dalla gente significa rendere vana la parola.
Una cosa è certa: la parola non desta più molta attenzione e ascolto. Se alla fine della messa qualcuno si mettesse a salutare i fedeli  alle porte della chiesa, chiedendo qualche riferimento alla parola ascoltata, non so cosa succederebbe. Molto dipende anche da chi legge: una cosa è leggere, altra cosa è proclamare. Il semplice leggere non tiene conto che l’orecchio di chi ascolta non corre così veloce come quello di chi legge. Proclamare aiuta certamente di più l’ascolto. Anche questo è motivo di noia nelle celebrazioni. Per noi cristiani la Parola non sono le tante parole, ma è una Persona, Gesù Cristo.

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