Attualità (21-07-2013)

CHIESA E IMMIGRAZIONE

ll viaggio di Papa Francesco a Lampedusa ha riportato alla luce un fenomeno che rischiava di passare in secondo ordine, anche a causa delle diverse posizioni politiche: l’immigrazione.
E’ un tema che ha riguardato anche la comunità di Massarosa, con confronti tra posizioni differenti. Dichiarazioni a dir poco becere, di esponenti di rilievo delle nostre istituzioni, verso cittadini italiani ma di razza e di provenienza diversa, fanno vedere come il tema è della massima importanza.
La questione non è solo di carattere culturale e politico, ma, come ha ben messo in evidenza Papa Francesco, per il credente, riguarda anche la fede.
La parola di Dio ci dice che quando lasciamo fuori della porta un immigrato, lasciamo fuori Gesù Cristo: “Ero straniero e mi avete ospitato. Ero straniero e non mi avete ospitato”. Al Papa che ha riproposto questa posizione, qualche politico ha replicato: “Una cosa è pregare, un’altra è governare” e si è accusato il Papa di intromissione nella politica italiana.
I cristiani, seguendo il Vangelo e l’insegnamento dei pastori, hanno il dovere di giudicare e di esprimere il loro consenso, in coerenza con la loro fede. Oggi, attraverso gli immigrati, il Signore manda dei messaggi importanti per la vita nostra, della chiesa e della società, nella quale il cristiano è lievito, sale e lampada (Mt 5) Il fenomeno dell’immigrazione propone alcune idee forza che toccano la sostanza dell’essere cristiano.
L’umanità forma un’unica famiglia di Dio: siamo tutti figli dello stesso Padre, tutti creati a sua immagine e somiglianza, e, perciò, di pari dignità. La presenza di immigrati di religioni diverse interroga anche la nostra capacità di ascolto e dialogo col “diverso”. L’annuncio del vangelo nei loro confronti non deve mirare a portarli alla nostra religione, magari puntando sul fatto che hanno bisogno di noi, ma alla nostra testimonianza di fede coerente e di accoglienza fraterna. Questo richiede ai credenti alcune condizioni essenziali:
superare il complesso del ricco e di chi è nella verità: abbiamo anche noi bisogno di ascoltare e di ricevere;
superare l’assistenza, anche se è necessaria, ma bisogna camminare sulla strada dell’integrazione. S. Paolo diceva: “Non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, tutti siete uno in Cristo Gesù”.;
la priorità evangelica dei più poveri qui si applica in pieno. Gli immigrati sono sicuramente fra i più poveri;
l’impegno per loro non può essere delegato a qualcuno (es. al Centro d’ascolto), ma deve essere assunto da tutta la comunità. Non deve essere isolato, ma entrare a far parte dei vari aspetti: liturgia, catechesi, pastorale, feste, economia, uso dei beni patrimoniali …
La tendenza diffusa anche tra la nostra gente non è per l’accoglienza, ma per la difesa e perfino il rifiuto, e la politica strumentalizza questa cultura per il consenso, negando diritti e doveri riconosciuti dalla Costituzione e dalla dichiarazione universale dei dritti dell’uomo,
La chiesa è chiamata a promuovere soprattutto con i fatti una cultura di accoglienza e di condivisione.
C’è chi dice che ci vuole prudenza e buon senso. Il cristiano invoca il vangelo: “avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere…”. E basta! E questo non è mancanza di senso dello stato, evasione dalla convivenza civile. Il cristiano è chiamato ad amare profondamente il suo paese e a miglioralo sulla via del Vangelo. I problemi sono seri e complessi, ma il cristiano ritiene che i problemi sono sempre più seri quanto più ci si allontano dal vangelo.

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