Attualità (25-03-2018)

CONTEMPLARE LA CROCE (2)

Dolore e morte sono sempre stati considerati “maledizione”, segno della lontananza di Dio nell’esperienza umana, mentre i credenti proclamavano la loro fede nella vicinanza di un Dio crocifisso, credendo che nella morte di Gesù anche il loro dolore poteva ritrovare senso, perché abitato da Dio.
Contemplando la croce, infatti, comprendiamo che la risurrezione non è il secondo atto del mistero salvifico, ma la croce è risurrezione nella misura in cui diviene luogo della rivelazione della vicinanza di Dio, punto d’arrivo di quel processo di incarnazione totale di un Dio che “avendo parlato, molte volte e in diversi modi nei tempi antichi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1), un Figlio reso nostro fratello attraverso la sofferenza.
Tuttavia, anche in questa consapevolezza, la croce rimane un mistero faticoso, perché immersa nelle tenebre. Forse per questo ognuno di noi, come Pietro, continua a chiedere al Cristo di “cambiare discorso” o, in altri termini, di scendere dalla croce.
La croce è vangelo, è buona notizia in quanto luogo che ci manifesta Dio, il suo volto d’amore, da cui tutto riceve senso. In quest’ottica lo squarcio del velo al tempio può essere letto come la distruzione di un’immagine di Dio fondata sulla priorità della struttura sulla persona. Questa realtà verrà distrutta perché la Presenza possa continuare ad abitare tra gli uomini in una casa “non costruita da mani d’uomo”, ma da Dio stesso e da lui consacrata per essere “casa di preghiera per tutti i popoli”.
La croce rivela il discepolo a se stesso, guarendolo dalla sua cecità, educandolo a “pensare secondo Dio” operando la scelta tra “l’amore di sé fino alla dimenticanza di Dio o l’amore di Dio fino alla dimenticanza di sé” (S. Agostino).
Scegliere la croce è scegliere la prospettiva del servizio, dell’amore che dialoga e non impone, continuando a testimoniare la “signoria” di un Dio che non esige e non schiaccia: è la signoria che cammina tra gli uomini non per conquistare l’altro, ma per servirlo liberandolo da ogni schiavitù e alienazione: “Non sono venuto per essere servito, ma per servire”.

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