Attualità ( 5-05-2013)

CARISMI E COMUNITA’

Il Concilio Vaticano II° ha riscoperto la parola “carisma”, un termine che la teologia e la prassi della Chiesa avevano smarrito. Questo non vuol dire che i carismi siano stati assenti dalla vita della Chiesa: anonimi o chiamati con altro nome, sono sempre esistiti. Solo che in una Chiesa intesa come “società perfetta” nella quale i fedeli dovevano solo obbedire alla gerarchia, i carismi si ritenevano tutti concentrati nei pastori e quasi si identificavano con i ministeri ordinati.
In una Chiesa pensata, come fa il Concilio, come “popolo di Dio”, che riscopre il ruolo dei laici, i quali condividono, proprio in forza del Battesimo, il ministero con i preti e i vescovi, la parola “carisma” ha ritrovato finalmente il suo significato.
La parola “carisma” la troviamo quasi esclusivamente nelle lettere di Paolo (16 volte) ed ha il significato di “dono”, “beneficio”. Ricorre sempre in contesto religioso e Dio ne è sempre l’autore: in alcuni casi indica il “dono di grazia” della redenzione che Dio fa all’uomo attraverso Gesù. Nella maggioranza dei casi “carisma” è utilizzato con un significato più specifico, indicando doni differenti elargiti, sempre da Dio, a una singola persona.
Possiamo così affermare che, se tutti i battezzati partecipano allo stesso modo al “dono di grazia” della redenzione, non tutti ricevono gli stessi carismi. I molteplici carismi, per S. Paolo, sono differenziati nei diversi soggetti. Se è vero che tutti i battezzati sono portatori di carismi, è altrettanto vero che non tutti, nella comunità, fanno le stesse cose.
Paolo spiega questa diversità con l’esempio del corpo: se venisse a mancare un piede, questo non sarebbe sostituito da altri carismi. L’Apostolo si sofferma molto sulla diversità dei carismi e sulla loro complementarietà all’interno della comunità.
I carismi hanno origine dall’unico Spirito e sono chiamati “manifestazioni dello Spirito”. Proprio perché portatori di carismi differenti, i cristiani possono essere paragonati alle diverse membra di un corpo; nel loro insieme, infatti, costituiscono il corpo di Cristo, che non risulta come un’unità monolitica, ma è articolato in diverse membra.
Con questo paragone Paolo arriva immediatamente ad alcune conclusioni: la prima è che ogni carisma deve essere finalizzato all’unità e al bene di tutta la comunità; la seconda è che non si deve cercare i carismi per ottenere emozioni particolari, né per affascinare o primeggiare sugli altri. Il carisma impegna colui che lo riceve a interrogarsi sulla sua capacità di orientarlo al bene di tutti, in atteggiamento di servizio e di sollecitudine verso tutti, in particolare verso le membra più deboli.
Durante il pellegrinaggio in Terra Santa di un gruppo di persone della nostra Unità Pastorale, incontrammo, al Cenacolo, un gruppo di pellegrini i quali, a un certo punto cominciarono a parlare e a gridare tutti insieme. Mi è stato riferito che è una pratica frequente in alcuni movimenti, che chiamano questa forma di preghiera “dono” o “carisma delle lingue”, od anche “glossolalia”, che era tenuto in grande considerazione nella comunità cristiana di Corinto proprio per la sua spettacolarità. Lo stesso Paolo, scrivendo a quella comunità dice che questo carisma non serve a nulla, perché non giova alla comunità.
L’Apostolo pone i carismi accanto ai ministeri: ambedue vengono da Dio e concorrono al bene e all’unità della comunità.

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