Storia

Testo curato dai Sig. Del Bucchia Virgilio e  Benassi Franco. E’ una piccola storia delle comunità che compongono l’unità pastorale di Massarosa. (Questa pagina necessita di aggiornamento).

MASSAROSA

 I Liguri-Apuani si insediarono sul territorio di Massarosa in alcuni villaggi di altura, di cui abbiamo trovato tracce, al Castellaccio ed a Fiocchi. Da questi villaggi scendevano nelle isole che formavano una laguna sia per cacciare sia per scambiare i loro prodotto come formaggio pelli e sale con vasellame e minerali dei villaggi palafitticoli che gli etruschi, i greci ed i fenici avevano costruito riparati dai flutti del mare.Con l’arrivo dei romani il territorio alla base delle colline fu diviso in pagi, paragonabili ai nostri comuni, ed in vici paesi di non grande consistenza.
Dove adesso sorge Goro, molto probabilmente si trovava il pago di Genestrule che si estendeva tra il rio (attualmente di Massarosa) ed il colle della Gulfa. A sud del fiume, che scorreva dove ora si trova la Via Fonda, sino al Belvedere di Bozzano si estendeva il vico di Nobule che comprendeva anche Loglia. I romani in questa zona hanno lasciato poche tracce anche perché con la piantagione intensiva dell’olivo ed il terrazzamento della bassa collina queste tracce sono state cancellate e riutilizzate per nuove costruzioni.
Quando nel VI secolo i Longobardi lucchesi riuscirono ad occupare parte della Versilia l’antico pago fu da loro assoggettato e trasformato nella Pieve di Erici ed a difesa della quale eressero il castello di Balbiana (attuale località Castellaccio) mentre il vico di Nobule, difeso dal castello di S. Lucia di Loglia rimase in mano, per lungo tempo, ai bizantini e tutto il territorio a sud del fiume fu compreso nella diocesi di Pisa. Nel VII secolo anche la città di Pisa fu occupata dai longobardi e così tutta la nostra zona fu amministrata dal Duca di Lucca. La massa era di proprietà di Galdoino figlio di Filimari, notaio, mentre la restante parte di Nobule apparteneva a Tassilone, ambedue parenti e consanguinei con i signori di Gricciano (Piano di Mommio) che probabilmente avevano la direttiva della famiglia e consorteria.
Nel febbraio del 768 Galdoino del fu Filimari fonda e dota la chiesa del Ss. Salvatore (Ecclesia Domini et Salvatoris) che il 18 marzo dello stesso anno viene consacrata e messa sotto il patrocinio del vescovo di Lucca. Nella carta dotis è interessante che venga specificato l’obbligo della subcessionis peregrinorum cioè il ricovero dei pellegrini che probabilmente avveniva sotto quella che ancora viene chiamata la loggia. Questa chiesa è il primo nucleo di quella che, ingrandita nel corso dei secolo, è attualmente la parrocchiale di Massarosa.La proprietà della Massa, nel IX secolo passò al Marchese di Toscana che la unì a tutti i possedimenti che aveva dal Serchio fino a Sala (attuale Pietrasanta) creando una unità terriera molto grande alla quale la Contessa Berta regale, nel 925, concesse alcune libertà comunali tra le quali i Boni Homines che riunivano gli abitanti delle varie ville (paesi) sottoposte alla massa.Il 1° luglio 932 i re d’Italia Ugo e Lotario donano la massa ai canonici del Duomo di Lucca. Ugo di Provenza era figlio di prime nozze della contessa Berta che aveva sposato, in seconde nozze, il marchese di Toscana Adalberto II e grazie anche alle pressioni della madre era divenuto re d’Italia e in quell’anno era sceso a Roma per sposare la nobildonna Marozia madre di Papa Giovanni XI e che avrebbe dovuto essere incoronato imperatore dopo le feste nuziali. Ma la rivolta del conte di Tuscolo Alberico, figlio della Marozia, costrinse Ugo a fuggire e a farlo rifugiare a Lucca e qui col benestare del figlio Lotario, che aveva associato al regno, donò la Massa Grausi con tutte le sue pertinenze che, come abbiamo visto erano veramente tante e che contava 35 manentes (fattorie) in tutto oltre 200 persone.
La gestione oculata e lungimirante dei Canonici fece crescere la popolazione in maniera esponenziale tanto che un documento del XII secolo ci porta ad una popolazione nella sola Massagrosa di 130 capifaglia che ci fa calcolare la popolazione tra le 600 e le 700 persone, quasi una città per l’epoca.
Della stessa epoca è la creazione di un mulino-frantoio in località Maioro (Acquachiara) e la bolla imperiale di Arrigo VI che istituisce i consoli del comune di Massarosa ed a sottolineare l’importanza del paese sono anche le unità di misura che vengono spesso riprese da tutta la Versilia e la Lunigiana e che rimarranno in vigore fino al XIX secolo quali lo staro affittuale e la libbra alla grossa della Versilia per l’olio.
A ribadire l’importanza del paese sono anche le chiese: quella parrocchiale di S. Jacopo sul colle omonimo; la chiesa di S. Andrea con il suo campanile (attuale parrocchiale); la chiesa in pojo de castro ora distrutta e che si trovava sulle pendici del colle del Castellaccio; ed infine la chiesa in quercus Sanctae Mariae che sorgeva dove ora è l’oratorio di S. Rocco.
L’espansione fu visibile anche nel territorio del paese che si dilatò fino a giungere dal porto di Bargecchia a quello di Nugalia (dal Colletto a Ulettori) e da Fiocchi al mare. Le marine ricche di piante di querce e lecci furono sfruttate per l’allevamento allo stato brado (saginatura) dei maiali che fecero di Massarosa il principale rifornitore della città di Lucca. Nel 1288 i canonici del Duomo costruirono davanti alla chiesa di S. Andrea la loro casa (attuale cappellania) che di li a poco sostituirà il castello che nel 1234 era stato occupato dall’Imperatore Federico II e che verrà distrutto nel 1314 dagli sgherri di Uguggione della Faggiola e Castruccio Castracani.
Da questo momento il paese subirà un continuo declino che proseguirà fin oltre la metà del XV secolo. Sul finire di questo secolo la costruzione della postale tra Pietrasanta e Pisa e le bonifiche della Maona portate avanti da Prete Piero della Lena con la costruzione degli archi per l’irrigazione, lo spostamento del Rio e del Rietto e l’argine che da lui prende il nome (Argine di prete Piero) portarono nuovo benessere ed un consistente aumento della popolazione che si era ridotta a poco più di cento abitanti.
Fu deciso, quindi, di spostare la chiesa parrocchiale che sul colle risultava decentrata e quasi inaccessibile e di ingrandire la chiesa di S. Andrea e di adibire a canonica la casa dei canonici. Viene costruito il nuovo palazzo (in Via Vallecava) che serve anche da comune con le retrostanti stalle e magazzini e lateralmente la piazza e sul davanti la via Francesca . Davanti la nuova chiesa, dal 1487, viene eretto un ospedale, dedicato a S. Lorenzo, per viandanti che diviene presto uno dei luoghi di sosta più ricercati per i Romei e per quelli diretti a Santiago de Compostela. La nuova chiesa parrocchiale viene costruita dal 1520 ed è larga metri 11,00 e lunga 14,85 e viene terminata nel 1924. Ha un ampio cimitero a valle e sul davanti con sull’angolo Nord-Ovest il campanile quadrato di pertiche 2 di lato. Il corredo interno è composto da un tabernacolo dello scultore Giovanni da Massagrosa e dalla mensa e dai quadri dei 12 apostoli. Viene consacrata dall’Arcivescovo di Crarenia Jacopo Giovanni il 18 marzo 1527 in ricordo della prima consacrazione. Nel 1559 viene eseguita dal M° Riccio la tavola dei SS. Jacopo e Andrea  con al centro la Madonna con Bambino.
Nel frattempo si erano costituite la confraternita delle disciplinate della Madonna della Neve, il 7 luglio 1492 e nei primi anni del 1500 la confraternita di S. Rocco a cui seguirà nel 1600 la confraternita del Carmine. Mentre la confraternita di S. Rocco nel 1630 riadattò l’oratorio al colletto, le due confraternite mariane costruirono all’interno della chiesa due altari laterali. A ricordo di questi rimangono una lapide marmorea e due pale d’altari del XVII secolo.
Nella notte del 7 luglio 1565 un tragico avvenimento si abbattè sul paese. Due feluche di pirati barbareschi entrarono nel fosso dell’Abate e guidati da un rinnegato della Spezia si portarono a Massarosa. Saliti a Goro fecero prigionieri diversi abitanti della località tra cui la figlia del Provenzali, uno degli anziani della repubblica lucchese, e scesi in paese legarono le campane e riportarono sulle loro navi 65 prigionieri. Dato l’allarme alla truppa che accorse rimasero in mano solo due spade, un archibugio ed il rinnegato che si era addormentato ubriaco nella baccanella (taverna con albergo) tra Bozzano e Quiesa. Il giorno successivo iniziarono le trattative, nella Torre di Viareggio, per il riscatto dei prigionieri. Non sappiamo se furono tutti liberati ma sicuramente la gran parte.
Le pestilenze, che si abbatterono sulla zona dalla seconda metà del XVII secolo, ridussero la popolazione, nel 1735, a poche decine di abitanti e solo alla fine del secolo tornò ad aumentare grazie soprattutto a numerose famiglie che si trasferirono nel paese dalla collina, da Fibbialla e dalla piana lucchese soprattutto da Montuolo.
L’aumento della popolazione, la coltura del riso nel padule finalmente quasi liberato dalla malaria e soprattutto la soppressione della Jura dei Canonici, nel 1804, che liberarono i contadini dalla manomorta, fecero rifiorire la nostra zona e nel 1820 la chiesa, ormai divenuta incapiente fu di nuovo allungata e rialzata dal rettore Michele Checchi, fu riconsacrata  dall’Arcivecovo Giuseppe de Nobili il 18 marzo 1829.
Dopo la pestilenza del colera del 1854-55, che fece nel paese un gran numero di vittime, nel 1861 il rettore Bertacchi costruì il nuovo campanile e ristrutturò l’oratorio di S. Rocco. La costruzione della ferrovia portò al paese molto lavoro sia alla cava del colletto sia lungo tutto il tracciato che da qui si snodava verso Quiesa e Viareggio. Il paese si ingrandiva a vista ed alla fine del XIX secolo, dopo aver ricevuto nel 1870 la nomina a capoluogo del nuovo comune staccatosi da Viareggio, oltrepasso i 2000 abitanti e nel 1891 Don Giuseppe Isola inizia la costruzione della crociera della chiesa con la cupola e nel 1893 viene di nuovo consacrata. Ma è il nuovo rettore, poi nominato proposto, Don Costantino Nannini ad abbellire la struttura con gli altari seicenteschi della chiesa sconsacrata di S. Agostino di Lucca e la costruzione del fonte battesimale nel 1898. Il fonte battesimale e la canonica, nella quale sono conservate diverse sue opere, vengono abbelliti dal pittore massarosese Michele Marcucci famoso a cavallo dei due secoli come pittore di chiese tra le quali anche il duomo di Lucca. Prima le torbiere, poi diverse industrie manifatturiere fecero diventare il territorio massarosese uno dei maggiori poli industriali non solo lucchesi ma anche toscani ed italiani fino ad un lento declino iniziato negli anni 70 del XX secolo. In questo frattempo la tragica parentesi del secondo conflitto mondiale che portò al paese lutti e rovine che ebbero il loro culmine nella giornata del 9 settembre 1944 con la morte di numerose persone e la distruzione di numerosi fabbricati. Anche la chiesa subì ingenti danni e quei luttuosi eventi sono ben descritti dal Proposto Don Amedeo Chicca nei suoi diari.

DA ORZALE A PIANO DEL QUERCIONE

 Quando i Romani, dopo aver deportato nel Sannio i Liguri-Apuani, colonizzarono la Versilia Sud istituirono diverse fattorie che si riunirono, nella zona pedecollinare in Vici e Pagi.
Subito dopo la seconda guerra Punica, nel 109 a. C., il censore Emilio Scauro adattò vecchi sentieri e tratti di strade più antiche in una via consolare che congiungeva Vada Volterrana con Arelates (Arles) in Provenza e questa strada prese il suo nome. Nel tratto tra il pago di Genestrule (attuale Goro) ed il vico di Sclava (Stiava = fattoria dell’uva schiava) attraversava il territorio di Orzale e all’altezza delle località tra la Pianaccia e Capraleccia riusciamo ancora a scorgere le tracce di questa antichissima viabilità. Con l’invasione Longobarda della Versilia, la Via Emilia Scauri (rinominata Aurelia) viene interrotta, all’altezza di Massarosa, dal confine con il territorio pisano soggetto ai Bizantini, e quindi perse gran parte della sua importanza tanto da essere sostituita da una via vicinale che transitava per la Freddana e le Gavine per giungere a Lucca.
Il primo documento che ci parla di questa località è quello del Vescovo di Lucca Teudigrimo che il 27 novembre 984 allivella al levita Gherardo le decime della Pieve di S. Ambrogio di Erici con le decime delle ville soggette e tra queste compare Orzale che a questa pieve è stata sempre legata.
Nell’alto medio Evo il paese di Orzale era soggetto, insieme a Stiava, Montramito e alla località del Poggione agli Ubaldi di Bozzano che sappiamo vi possedevano alcune case e proprio con la costruzione, nella prima metà del XII secolo, del castello di Montramito da parte di questa famiglia e con la riapertura della fossa dell’Abate e di un fosso delle acque alte tra il Colsereno e questa rocca da parte dell’Abbazia di Quiesa  che la vecchia strada, più lunga e che passava per il paese di Stiava, fu in parte abbandonata e costruita una nuova via che percorreva lo “scanno” tra il padule e la collina, quella che diverrà da subito la Via Francesca perché percorsa dai pellegrini francesi che volevano raggiungere Roma e la Terrasanta.
Nel 1296 il comune di Pieve a Elici acquista dagli Ubaldi di Bozzano i paduli che andavano dalla Fossa di Gherardo dal Rio, presso Aulectule (Ulettori = olivetti), alla Fossa delle Selici che scorre da Montravante (Montramito) al mare (attuale via di Montramito) e dal mare allo scanno (via Sarzanese).
Quando nel 14?? Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze, comprò dal genovese Banco di S. Giorgio, la vicaria di Pietrasanta, iniziarono da subito i lavori per la costruzione di una via postale che congiungesse questa cittadina con Pisa. Questi lavori trasformarono la piccola via medioevale in un’arteria di oltre tre metri che permetteva il transito di carri e di cavalieri. Inoltre la repubblica lucchese costruì il porto di Viareggio e la via del monte di Quiesa per trasportare le merci dalla Piaggetta fino alla città.
Ad inaugurare la strada fu l’Imperatore Carlo V, sotto il cui regno non tramontava mai il sole, che sbarcato nel porto in costruzione si spinse fino a Lucca lungo la via Francigena ed i tornanti della, molto diversa, via del monte di Quiesa inaugurando anche la nuova chiesa parrocchiale di Massarosa dedicata ai SS. Jacopo ed Andrea. Ad unire questo tracciato con la vecchia viabilità sorsero alcuni stradelli; il primo da Goro fino a Ficaia e proseguendo verso nord dalla sommità di Ulettori fino a Capecchi (il podere Beatrice) poi la strada dalla Pianaccia alla valle inoltre il sentiero lastricato della Capraleccia che nella parte bassa si univa alla nuova via di Marcaccio che raggiungeva Stiava.

Il cambio del nome.

Nel XVIII secolo iniziò a formasi un vero e proprio paese che continuò ad ingrandirsi dalle poche case iniziali che sono ancora contrassegnate dalla presenza di piccole e graziose marginette in maggior parte dedicate alla Madonna e proprio il culto mariano propagandatosi in quell’epoca che ha contraddistinto la vita sociale e religiosa del nuovo paese. In quel periodo si interessarono della zona anche le famiglie nobili lucchesi che, allettate dalla coltivazione intensiva dell’ulivo, vi costruirono due ville, quelle di Campo romano e della Colombara. Ma anche alcuni ordini religiosi vi ebbero una sede staccata a Coli con annessa chiesetta e farantoio. Due documenti distinti ci indicano il paese. Infatti nell’archivio di Pieve a Elici nei terrilogi che indicano le possessioni della chiesa vi è un documento del 17?? In cui compare un appezzamento di terra che si estende dalla Via Francesca alla base della collina, quindi sopra strada, e si dice che è nel territorio di Orzale. Ma tra i beni della chiesa di S. Giusto di Gualdo appare, nel 1701, un altro terrilogio che indica beni di quella chiesa tra la Via Francesca ed in padule, quindi sotto strada, e questi possedimenti sono nel territorio di Piano del Quercione.
Questo dualismo scompare nel XIX secolo e lo testimonia la visita pastorale del 26 agosto 1822 del Vescovo di Lucca, mons. Filippo Sardi, alla Pieve dove si parla di una cappellina al “Piano del Quercione … che prima si chiamava Orzale”. Da questo momento di Orzale si è perso persino il ricordo e la memoria.

La moderna espansione.

Nel corso del XX secolo, grazie alla scomparsa della malaria per secoli vero e proprio flagello delle nostra pianura, una forte espansione demografica fece si che il Piano divenisse la zona più popolosa di Pieve ad Elici tanto che, già prima della seconda guerra mondiale, il cappellano della Pieve risiedeva stabilmente nel paese che iniziò a prendere una funzione autonoma il 14 febbraio 1932, quando 58 soci, che diverranno 60 il 26 marzo, della Misericordia di Stiava residenti nel paese si staccano e fondano la Misericordia del Piano del Quercione. E’ il primo atto autonomo e già il 23 luglio 1933 avviene l’inaugurazione dei locali della sede  e il 6 febbraio 1944 viene deciso di costruire una cappellina che visti i momenti difficili fu arredata molto sobriamente e solo nel 1946 fu provvista di panche. Il 15 agosto 1954 il Vescovo Antonio Torrini riconosce ufficialmente la parrocchia di Piano del Quercione che con decreto dell’8 giugno 1956 viene riconosciuta anche, con decreto del Presidente della Repubblica, dalle autorità civili italiane, finalmente il paese è ufficialmente esistente. Il primo parroco è don Angelo Lari il quale si prodiga affinché il paese abbia prima il cimitero che viene inaugurato, sempre da Mons. Torrini, il 23 settembre 1962 ed infine una chiesa che sostituisca il vecchio oratorio della Misericordia. Il 19 marzo 1963 viene posta la prima pietra ma verrà terminata solo nel 1975.

PIEVE A ELICI

L’uomo si insediò sulle colline quando ancora erano lambite dal mare e le prime isole sabbiose si stavano formando alcuni chilometri al largo della costa. I liguri apuani costruirono alcuni villaggi fortificati d’altura e la valletta sotto il piazzale della Pieve a Elici sembra uno di questi siti. Con la conquista romana, all’inizio del II secolo a.C., la località prese il nome attuale dalla abbondanza di lecci (Ilex) della zona e sotto l’impero divenne luogo della guarnigione del Pago di Genestrule che aveva il suo centro nell’attuale località di Goro e si estendeva da Quiesa a Piano di Mommio (Grecianus). Con la Centuriazione della zona, assegnata ai legionari con la lex agraria per Luni nel 177 a.C., vennero costruite numerose case coloniche che prendevano il nome dell’assegnatario ed intorno al pago ecco fiorire Luciano, dal colono Lucius, Montigiano, da Monticius, Miglianello, da Emilianus, Balbiana (attuale Castellaccio di Massarosa) da Balbius
“Ubi pagus ibi Plebs” quando Frediano, Vescovo di Lucca dal 580 al 610 circa, divise la diocesi di Lucca in pievanie ne istituì tre in Versilia ed una di queste nel paese di Elici poiché in questo vi era una buona consistenza di abitanti, infatti già nel 872 un documento parla del paese e dice che il vescovo Geremia vi possedeva case, una vigna e oliveto da cui ricavava vino ed olio.
Nell’892 per la prima volta sappiamo che esiste la Pieve ed è dedicata a S. Ambrogio ma solo nel 984 riusciamo a conoscere i paesi che erano nel piviere, infatti possiamo paragonare le pievi ad un attuale comune ed avevano diversi villaggi a loro sottoposti e dai quali riscuotevano alcune tasse (decime). Erano diverse ville e comprendevano Massarosa con Goro (Genestrule), Stiava con Scepato e Gomborale, Conca (Piano),  Ricetro, Luciano, Spezi, Miglianello, Piano del Quercione (che fino alla metà del 1800 si chiamava anche Orzale) Montigiano, Crescionatico ed alcune fattorie che si uniranno successivamente divenendo Gualdo.
Durante la guerra civile, che insanguinò Lucca dal 1080 al 1099, la Pieve venne distrutta, e solo la pace, stipulata a Ricetro dalla contessa Matilde nel luglio del 1099, permise la ricostruzione della chiesa che da allora ha avuto come titolare San Pantaleone, come sappiamo da un documento del 19 luglio 1148. Proprio in questo periodo abbiamo la notizia del paese di Gualdo che prende il nome dal canonico Gualdo, morto nel 1077, e fratello di Bonico figlio di Bona il quale riunisce tutti i possedimenti che aveva con gli altri canonici e al centro costruisce la Chiesa di S. Giusto di Gualdo fondando così il paese. Sicuramente sia Bonico che Gualdo erano figli di un canonico della cattedrale e di questo avevano preso il “mestiere” infatti vengono definiti figli di Bona che sicuramente apparteneva ad una nobile famiglia di Lucca o del contado anche se non conosciamo, al contrario di altre, il lignaggio.
Nel corso del XII secolo abbiamo un periodo di pace che fa crescere tutta la collina, numerose chiese ricevono il cimitero e questo ci fa conoscere che la popolazione dei villaggi si era ingrandita e nel 1180 i paesi chiedono maggior autonomia dai canonici ed i comuni arrivano a non pagare più le decime tanto che il vescovo di Lucca minaccia di ricorrere alla scomunica ed i consoli ed i treguani del comune di Lucca arrivano a mandare messaggi che prevedono, di li a poco, un intervento armato.
Nell’ottobre del 1183 l’imperatore Arrigo VI concede ai massarosesi e agli abitanti della collina i consoli che sostituiscono i “boni homines” che avevano minor libertà ed una minore possibilità di contraddittorio con i canonici. Inoltre è il periodo in cui le chiese soggette si staccano dalla chiesa madre, la Pieve.
Infatti già alla metà del secolo XII le chiese di Massarosa e Gualdo ricevono il cimitero e la possibilità di seppellire i morti ma all’inizio del secolo XIII  i due rettore si staccano definitivamente e pretendono una autonomia completa a questo si oppone il pievano con un contenzioso che viene sanato con un arbitrato del 22 aprile 1233 che stabilisce, per la prima volta nella storia, i diritti ed i doveri delle chiese soggette e che ha stabilito un principio che ha avuto applicazione per molti secoli, senza dubbio sino al secolo XVI. Ma sicuramente è il XIII secolo quello che ha costituito il periodo più ricco dal punto di vista architettonico per la Pieve ad Elici.
Nella seconda metà del secolo un comancino Giroldo di Jacopo, marmolaio di Lugano, rese la chiesa come la possiamo ammirare. Venuto a Lucca al seguito di Guidetto da Como per la costruzione del campanile e dell’atrio della facciata della Cattedrale, a seguito dei contatti prima col pievano Manfredello e poi con Pietro vi fu la costruzione del campanile veramente monumentale che ricorda quello lucchese poi la chiesa fu portata a tre navate con il rialzamento centrale e quindi aggiunto l’abside. La squadratura delle pietre, che provengono dalle vicine cave sulla via della Costa, ci indicano la quasi contemporaneità di questi lavori. La ricchezza del periodo, forse dovuta ad una piantagione quasi intensiva dell’ulivo, ci viene confermata dalla compera delle paludi avvenuta nel 1296 dagli Ubaldi di Bozzano del ramo di Montramito. Era una grossa estensione paduligna che andava dalla Fossa di Gherardo del Rio (Ulettori) alla fossa delle Selici (via di Montramito) e dalla via Emilia di Orzale (Piano del Quercione) fino al mare. Fu così che il comune di Pieve a Elici si avviò sulla strada della prosperità e su quella della giustizia sociale. Infatti i beni comunali erano a disposizione di tutti ma con la precedenza per gli orfani e le vedove, persone non tutelate, e poi dei poveri.
Ma è soprattutto il “Costituto di Gualdo del 1266” che ci indica quale sia la situazione sociale ed economica di tutta la collina, anche se non ricchissima almeno dignitosa, e quali siano i rapporti tra le persone nei nostri paesi. Infatti se qualche volta si eccedeva nelle parole e volava qualche insulto e si arrivava anche alle mani, la mitezza delle pene per l’omicidio e le ferite con armi ci dicono che questi reati erano così lontani dai pensieri dei nostri antenati, da non essere degni di pene consistenti.
Inoltre, senza nessuna presunzione, si sentivano in grado di badare alla sicurezza delle loro famiglie e delle loro cose da se stessi con un “regimen” per metà eletto da loro e per l’altra meta di pertinenza della Canonica di S. Martino a cui riconoscevano i diritti feudali, che nel periodo medioevale nessuno metteva in dubbio.
Nel XIV secolo, mentre la pianura sprofondava in una crisi economica e sociale spaventosa, soprattutto la pieve continuò ad avere un relativo benessere economico ed alcuni abitanti si ritrovarono coinvolti in un processo penale a Lucca per essersi rifiutati di costruire le mura di Camaiore perché “gli abitanti del Borgo snobbavano il lavoro e si rifiutavano di contribuire economicamente alle opere che tutelavano questi”. I pievarotti ricevettero una mite condanna.
Ritroviamo, tra il ‘300 ed il ‘400, diversi abitanti della zona che diventano cittadini lucchesi sia perché impegnati nei commerci della seta sia perché in altre professioni, quali notai. Alcuni di questi lasciarono somme per l’abbellimento della loro pieve e così questa si riempì di affreschi e di corredi e di proprietà. Il 22 giugno 1439 ser Marco di Martino Vannelli della Pieve a Elici e cittadino lucchese, notaio, commissiona al pittore Francesco di Jacopo un affresco, con ogni probabilità, il Crocifisso che viene eseguito dal fratello di questo Leonardo. Successivamente, nel 1470 come risulta da una iscrizione, viene eseguito il trittico marmoreo sopra l’altare maggiore attribuito al Riccomanno a cui partecipò anche lo scultore Giovanni da Massagrosa come si deduce da alcuni particolari che possono essere paragonati ai tabernacoli di Bargecchia, Massarosa e Stiava di questo scultore.
Nel corso del XVI secolo si ha un disboscamento di tutta la collina ed un impianto intensivo dell’ulivo che porterà un discreto benessere a tutta la zona. Inoltre la creazione della vicaria di Viareggio, sotto la quale fu trasferito il paese, portò allo scorporo delle marine dalla attuale via Aurelia al mare. I canonici del Duomo e il comune della pieve si opposero a questo atto mentre sia Bozzano che Quiesa accettarono come contropartita la cancellazione dei debiti contratti con la Maona per le bonifiche. La Maona aveva costruito, inoltre, nel 1488 la marginetta di S. Rocchino che  all’epoca si trovava sulla via Regia (Via di Montramito) dove vi era un ponte mobile sul fosso navigabile (attuale fosso Legnaio) dal porto del Motrone al Lago.
Nel 1688 si arrivò a una transazione che venne saldata nel secolo successivo insieme ai ricavi ottenuti con le vendite del legname del taglio della macchia che ricopriva sia la palude che la striscia che oggi corrisponde al territorio tra la fosse delle Quindici e la via della Fontanella.
Questi ricavi furono impiegati sia per ricoprire gli affreschi con uno strato di calce viva, come prescritto dai vescovi nelle varie visite pastorali, sia per costruire le canoniche che il frantoio. Inoltre venne costruita una chiesa dedicata a S. Giovanni Battista (contitolare della Pieve) nel piazzale antistante insieme alla vigna. Questa chiesa fu distrutta nel 1826 quando fu costruita la nuova strada (via dei Canipaletti) che dal Ponte della Regina a Massarosa arrivava fino alla Località di Bosco Grande a Pitoro. Un fulmine si abbattè, nel 1834 sulla parete dove era collocato l’altare di S. Biagio scoprendo l’affresco del Crocifisso che ritornò così alla luce.
All’inizio del XX secolo, dopo una parentesi di forti contrasti con le autorità che chiusero di forza i circoli cattolici anche alla pieve, il primo sovrintendente ai monumenti ebbe molto a cuore la nostra zona e si adoperò per riportare la chiesa di S. Pantaleone alle forme romaniche che possiamo ammirare. Buona parte dei soldi occorrenti furono trovati anche grazie alla bonifica del 1920 dei paduli che portò all’acquisto di vasti territori paduligni della canonica, trasformati in terreni coltivabili da parte della società ALMA-Terre redenti grazie ai finanziamenti della Banca Agricola Lucchese di Depositi e Prestiti , in gran parte massarosese e di ispirazione cattolica, poi fatta chiudere dal regime fascista.

GUALDO

La fondazione del paese.

In Arsitulo manentes duos” così si esprime la donazione del 1 luglio 931 ed il documento del vescovo Teudigrimo del 27 novembre 984 che allivella le ville dipendenti dalla Pieve ad Elici parla di Sasreto località che ricorda lo sperone roccioso su quale attualmente sorge la chiesa di Gualdo. Nel corso dell’XI secolo una serie di notizie ci parlano delle fattorie che si trovavano tra la cima del Cavalmorto (Ghilardona) ed il torrente Freddana e degli uomini che le reggevano. In particolar modo ne spicca una; la fattoria di Vinolupo.
Il 27 gennaio 1077, il canonico Bonico figlio di Ricchilde compra da Anselmo di Ildebrando, ambedue famiglia dei Montemagnesi, una porzione di casa in Monticano, la rimanente parte gli era pervenuta in eredità a causa della morte del fratello Gualdo. Il 29 aprile dello stesso anno offre alla canonica, per la salvezza della propria anima e di quella del fratello Gualdo terre ed una fattoria detta di Vinolupo che è retta e coltivata dai fratelli Bonico e Domenico Lombardi. Questa fattoria ha nella parte più elevata una casa e terreni che degradano verso il basso. Subito dopo la maggioranza dei canonici del Duomo si schiera con l’Imperatore Enrico IV contro Papa Gregorio VII e la Contessa Matilde. Dalla parte del vescovo S. Anselmo rimangono solo l’Arcipresbitero Lamberto suo fratello l’Arcidiacono Blancardo, Bonico e pochi altri, che alla morte di Bonico si restringono ulteriormente. Allo scoppio della guerra civile Lamberto tenta di far rimanere fuori dal conflitto la sua famiglia, i Montemagnesi, e la canonica e nel 1081 riunisce a Monticiano i boni homines tutto il comune e lo zio Ildebrando per una riappacificazione a cui prendono parte anche Domenico Lambardi ed altri contadini di fattorie del Cavalmorto. I Montemagnesi si impegnano a vendere tutti i possessi a loro pervenuti per discendenza che si trovino nel territorio dei Canonici. Dopo alcuni anni in cui gli animi sembrano riappacificarsi, anche a causa della morte di Lamberto, negli anni 90 la guerra si riaccende ed il 10 dicembre 1094 in una riunione a Montigiano si stabiliscono i termini per una riappacificazione tra i montemagnesi, gli uomini di Montigiano ed i canonici. Sono presenti tutti gli abitanti e tra questi almeno tre fattorie tra la Ghilardona e la Freddana. Con il prevalere della contessa Matilde la guerra si riaccende ed è probabile che venga distrutta anche la Pieve ad Elici mentre vengono fatte incursioni nel territorio dei Canonici. In questa fase dove sorgeva la Fattoria di Vinolupo viene costruita la chiesa e nei terreni il nuovo paese che prende il nome da Gualdo il canonico che alcuni anni prima ne era stato proprietario.
Nel giugno 1099 la contessa Matilde, arrivata a Lucca, viene chiamata dai Montemagnesi e si trasferisce a Ricetro, nella casa davanti all’attuale cimitero di Montemagno ultimamente resa famosa dalla presenza del cantante Gaber. Infatti i canonici volevano costruire un castello sulla cima del colle che avrebbe dominato il paese di Montemagno e la rocca di questi signori. Dopo aver rimproverato i canonici ordina a questi l’abbattimento delle prime strutture del castello ed ai Montemagnesi di smettere di fare incursioni e rapine nel territorio che va dal paese di Gualdo a quello di Pedona e stabilisce i confine tra i due feudatari. Da questo momento esiste il paese di Gualdo.

Un Paese vitale.

Non impiegò molto il paese di Gualdo a farsi sentire in tutte le fasi della sua crescita e già il 16 settembre 1150 papa Eugenio III concede il cimitero alla chiesa insieme a Fibbialla e Massarosa. Il paese si costituisce in comune eleggendo i propri boni homines i quali iniziano le loro rivendicazioni nei confronti dei canonici. Nel 1180 con la calata in Italia di Federigo Barbarossa, e grazie alla protezione di questo, smettono di pagare le decime e le altre tasse tanto che il Vescovo Guglielmo minaccia la scomunica ed il 31 dicembre 1181 i consoli e treguani lucchesi si dichiarano pronti ad un intervento armato contro gli abitanti di Gualdo, Montigiano e Massarosa.
Nel 1183 gli uomini di Massarosa e Gualdo riescono ad ottenere  dall’Imperatore Arrigo VI i consoli che avevano più poteri dei precedenti boni homines e già nel 1223 la parrocchia reclama una maggiore autonomia dalla pieve e con un arbitrato vengono stabiliti sia i diritti del pievano che dei cappellani delle chiese soggette.
Il 12 febbraio del 1266 i gualdicci stipulano un patto con i canonici del Duomo per la gestione del comune e per l’acquisto di tutti i beni che questi avevano nel territorio della parrocchia di Gualdo. Si tratta di un documento estremamente complesso sia per il rapporto tra le parti che dal punto di vista di amministrazione della giustizia. Il Costituto di Gualdo è un antesignano degli statuti che nel1500 si daranno tutti i paesi della repubblica lucchese anche se con modalità e termini certamente che abbracciano una varietà di problematiche molto più ampie. Con l’istituzione del podestà della Jura dei Canonici anche il paese perse parte della sua autonomia quale la levata del sale e la leva militare che passarono la prima ai Canonici che la esercitavano dal loro palazzo di Massarosa e la seconda direttamente alla repubblica lucchese. Nonostante i tragici fatti che sconvolsero Lucca dal XV al XVII secolo la vita a Gualdo scorse in una apparente calma piatta che presupponeva un rinchiudersi nella comunità dal battesimo sino alla estrema unzione e solo pochi individui si spingevano fino alle lontane città di Lucca e Pisa.
Nel 1700 l’antica chiesa che aveva resistito per oltre cinque secolo, forse per un terremoto, rischiava la rovina e gli abitanti si decisero ad abbatterla e a ricostruirla nelle forme delle nuove regole dettate dal concilio tridentino ed ancora oggi possiamo ammirare questo rifacimento con l’unica variante del cimitero che era addossato alla chiesa nella zona ad est.
Dalla metà del XIX secolo, con l’avvento dell’industrializzazione, il paese si è racchiuso su se stesso e nel suo interno ha scacciato nuove costruzioni ed ogni attività che non fosse quella agricola e della ristorazione valorizzando anche quei forni familiari che un tempo davano la possibilità di una sussistenza che, senza esagerazioni, rendeva felici. Il fascino del paese ne risulta esaltato e a chi lo ricerca dona il fascino delle cose antiche e genuine che rappresentano l’aspirazione più profonda che ogni viandante di questo mondo caotico vorrebbe senza averne la coscienza per scegliere. Ecco un paese che rappresenta la semplicità.

MONTIGIANO

   di  Virgilio Del Bucchia – Franco Benassi

Una breve storia

Il nome di Montigiano deriva dal nome proprio romano di Monticius, il colono che al tempo della centuriazione romana vi ebbe un podere. Infatti con la lex agraria per Luni anche la nostra zona passò ai legionari romani che avevano combattuto le guerre contro i liguri apuani. I paesi presero quindi i nome dei coloni da Lucianus, Emilianus (Miglianello), Grecianus (Gricciano – Piano di Mommio), Balbius (Balbiana – attuale Catellaccio di Massarosa) ed altri.
Il primo documento che parla del paese di Montigiano è la donazione di Ugo e Lotario del 1° Luglio 932 in cui si specifica “in Montisano manentes unum” quindi si donava ai Canonici del Duomo di Lucca un servo della gleba con il terreno da lui coltivato. Il vescovo di Lucca Teudigrimo, il 29 novembre 984 allivella le decime delle ville dipendenti dalla Pieve a Elici e tra queste anche Montisciano.
Ma non tutto il paese di Montigiano dipendeva dai Canonici, infatti oltre a questi anche la famiglia dei Montemagnesi vi aveva manenti e fattorie oltre ad una casa signorile in località Palazzo infatti numerosi documenti nel corso del 1000 ci parlano di contrasti tra questa famiglia con i canonici e con i boni homines che rappresentavano il comune.
Sia Anselmo, figlio di Ildebrando di Montemagno, che la figlia Kara hanno scontri feroci con i Canonici ed una prima pace viene sottoscritta solo nel 1094. Subito dopo la guerra riesplode e coinvolge sia il massarosese che il camaiorese e solo nel 1099 vi è l’intervento della Contessa Matilde che impone la pace tra i contendenti.
Finalmente il 20 novembre 1143 il paese ottiene la Chiesa. In questa data sul confine delle proprietà dei Montemagnesi e dei Canonici viene donato un appezzamento di terreno sul quale viene costruita la Chiesa dei SS. Mathei apostoli et evangeliste et beati Donati episcopi et confessoris et beate Lucie virginis. Sottoscrivono l’atto Ildebrando e Guido del fu Ugo e Sibillia di Schiero moglie di Guido. La chiesa verrà edificata con un annesso cimitero subito dopo questa data.
Con l’arrivo dell’Imperatore Federico II in Toscana i Canonici ed i Montemagnesi, il 14 gennaio 1236, trovarono un accordo che garantiva tutte e due le parti sui diritti sul paese, infatti ambedue le parti nominavano un vicecomes i quali giudicavano di comune accordo. Inoltre vengono tutelate alcune libertà comunali quali i consoli e la facoltà degli uomini di cambiare lavoro o fattoria senza doverlo comunicare in caso di matrimonio oppure in tutti gli altri casi con l’approvazione del proprio signore. Il Catalogo delle Chiese lucchesi del 1260 riporta la Chiesa di S. Lucia di Montigiano nel piviere di Pieve a Elici e certifica che aveva un patrimonio di LXX lire.
Con l’abolizione dei diritti feudali da parte del comune di Lucca questo tentò di passare a se i diritti sul paese che però rimase sempre legato alla Jura dei Canonici fino a quando questa non fu sciolta da Napoleone nel 1804. Il comune di Montigiano non ebbe mai possesso sui paduli anche se una parte del paese partecipava al taglio del falasco nei possedimenti delle marine di Pieve a Elici. Durante la guerra 1940-45 a causa di una rappresaglia il piccolo agglomerato di case che si trova sotto la chiesa fu incendiato e raso al suolo dalle truppe naziste in una drammatica giornata del settembre 1944.

La Chiesa Attuale

La chiesa, orientata da Ovest ad Est, si affaccia su di un poggiolo da cui si gode di una bellissima panoramica di colline uliveti e piccoli paesi con a sud il lago di Massaciuccoli ed ad ovest il mar Ligure. L’attuale struttura  è stata edificata nei primi anni del XX secolo, sulla precedente romanica, ad una navata e come la precedente dedicata a S. Lucia ed ha mantenuto la sacrestia adagiata lateralmente alla chiesa, tipico delle fabbriche del secolo XII. Notizie di archivio riportano il restauro, a causa del degrado degli intonaci, dei dipinti nei primi anni del ‘900 ad opera del pittore, originario di Bagni di Lucca, Giovanni Eligio Di Volo allievo di Ignazio Gabrielli di Camaiore.
Il tema dominante è il motivo floreale con ampie stesure dorate tipiche del Liberty che in quel periodo era dominante ed eseguito a secco e non in affresco. I decori hanno anche elementi simbolici come spighe di grano e frutti da sempre utilizzati come auspicio di fertilità e buon raccolto sia materiale che spirituale. La volta si apre con arcate decorate con finti marmi che con i giochi prospettici erano tipici dell’epoca e provenivano dal secolo precedente che ne aveva anche abusato.
La parte centrale presenta, su di un fondo blu con molte foglie d’olivo, l’immagine di S. Pietro con la scritta “PASCE OVES MEAS TU ES PETRUS”, con la figura che insieme a putti, nastri e cartigli risulta poco curata sia nell’anatomia che nelle sfumature dei colori. La scritta è tipica del periodo in cui da poco era stata proclamata l’infallibilità papale. Notevole è la cantoria lignea che si trova sopra la porta di ingresso dove è ospitato un pregevole organo del viareggino Emanuele Tofanelli e realizzato nel 1895 e che ha subito un restauro nel 1961 anche a causa delle vicende belliche. Un piccolo archivio, ma molto interessante si trova in sacrestia insieme ad un pregevole “Bimbo di Lucca” delle suore di S. Romano del XVI secolo.
Il paese si presenta molto sparso con alcune case racchiuse dalla vegetazione dei boschi della Ghilardona anche ad alcuni chilometri come Inta e Scherzi oppure verso Monte Pitoro sulla strada che porta alla Chiesa. Il centro si trova in due nuclei: il primo a terrazzo degradanti sotto la Chiesa ed il secondo si racchiude a semicerchio sul colle sovrastante con il Palazzo e fabbricati di origine rurale quasi a proteggersi nell’appoggiarsi l’uno all’altro.

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