Vangelo della domenica (11-05-2014)

4a DOMENICA DI PASQUA  GESU’ RISORTO SI MENIFESTA NEI PASTORI DELLA CHIESA

L’immagine del pastore che guida le sue pecore era familiare a Israele, popolo nomade: essa alimentò progressivamente la meditazione religiosa del proprio rapporto con Dio. I suoi capi dovevano essere servi dell’unico pastore, ma troppo spesso, seguendo interessi egoistici e visioni politiche inadeguate, hanno tradito, fuorviato, depredato il gregge di Dio.
Gesù si presenta come il pastore secondo il cuore di Dio, quello annunciato dai profeti. Egli conosce intimamente il Padre e trasmette questa conoscenza ai suoi (vangelo). Per questo è la porta, il mediatore. Conosce intimamente la nostra condizione, perché come “agnello” ha portato i peccati di tutti noi (2a lettura). Egli guida i suoi con l’autorità di chi ama e ha dato la sua vita, ed essi, nella fede, ascoltano la sua voce e lo seguono.
Prima di tornare alla destra del Padre Gesù ha affidato alla comunità degli Apostoli (e in modo particolare a Pietro, come capo di questa comunità) il suo ministero pastorale verso coloro che hanno già raggiunto la porta dell’ovile e verso quelli che dovranno ancora raggiungerla. Questo servizio rende effettiva la presenza di Cristo risorto in mezzo a noi, la prolunga nel tempo (successione apostolica) e nello spazio (collegialità). Come tutte le realtà che appartengono alla chiesa pellegrinante, il servizio pastorale è di ordine sacramentale, e rimanda al Cristo Signore, che, invisibile, guida i suoi alla comunione di vita con il Padre attraverso i ministri della parola e dei sacramenti. Ma anche nel “governo” e nelle responsabilità delle comunità e dei singoli fratelli, i pastori sanno che la loro autorità nasce dall’obbedienza a Cristo che tutto il corpo della chiesa deve cercare e di cui essi esprimono la voce.
Il discorso sui “pastori” della chiesa oggi non è facile per le incrostazioni storiche che hanno deformato prospettive e falsato mentalità, per deviazioni e scandali che ne hanno diminuito e offuscato l’immagine, l’identità e la fiducia dei fedeli e per compiti di tipo burocratico, amministrativo e gestionale che rischiano di mettere in secondo ordine i compiti più importanti che sono l’annuncio del vangelo e la celebrazione dei sacramenti. Restituire ai pastori e alle loro funzioni nella chiesa la verità e l’autenticità è compito oggi urgente. Papa Francesco sta già modificando quell’immagine che vedeva il Papa come un capo politico, un raffinato diplomatico, e si presenta sempre di più come il centro di unità e di coesione nella chiesa che vuole “povera e per i poveri”.
Il vescovo non è un dignitario, un alto funzionario dello spirito, lontano e distaccato dal suo gregge, ma il centro di unità della chiesa locale, il maestro e il padre della famiglia diocesana.
Il parroco e i preti, impegnati nel ministero pastorale, non sono dei burocrati e dei funzionari a cui rivolgersi per espletare delle “pratiche”, per ottenere raccomandazioni, non sono neppure distributori di elemosine e di sacramenti. Sono soprattutto “pastori” dedicati totalmente al loro popolo, che servono con amore e dedizione. Nella chiesa l’autorità è servizio. Solo Gesù è il vero pastore: egli è “la porta” che ci consente di entrare in comunione con il Padre. Ma il compito pastorale è affidato anche a tutta la comunità dei fedeli, che deve andare in cerca delle pecore smarrite (i poveri, gli infermi, gli incerti…), perché tutti possano riconoscere e seguire con verità colui che è “la porta” che introduce alla salvezza e alla vita. Papa Francesco ha ben descritto questo compito con immagini come “andare verso le periferie”, e “una chiesa in uscita”.

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