Vangelo della domenica (15-02-2015)

VI DOMENICA T.O. ANNO B
Ne ebbe compassione … e gli disse: “Guarda di non dire niente a nessuno”

domenica VI anno bSono passate poche settimane da quando la televisione ci mostrava ogni giorno le immagini dell’emergenza Ebola. Quelle tute gialle ci hanno impressionato e spaventato. E non si tratta di un horror ma della realtà: gli approfondimenti sul tema e le notizie drammaticamente confermano la prima impressione.
Avete capito che, di fronte al vangelo di oggi, la mia mente corre a questa malattia grave quanto e più della lebbra. Nella Bibbia di fronte al contagio si sceglie di emarginare anche crudelmente gli ammalati: “porterà vesti strappate … velato fino al labbro superiore, andrà gridando: Impuro! Impuro! … abiterà fuori dell’accampamento”. Obiettivamente dobbiamo sottolineare che di fronte all’Ebola non abbiamo assistito soltanto alla emarginazione del sentirci “fortunati” perché quella malattia colpisce solo poche nazioni abbastanza lontane da noi; non abbiamo visto solo l’abituale emarginazione dei media che, avendo bisogno di catturare il nostro interesse, passano rapidamente da una tragedia ad uno show … Dicevo che accanto all’emarginazione dobbiamo notare l’impegno serio e disinteressato di tanti che a rischio della propria vita si sono “velati ben oltre il labbro superiore” per stare vicini agli ammalati.


Ho scaricato un’intervista ad uno di questi dottori. Ve ne offro un brano.
Per indossare la tuta bisogna rispettare una procedura rigorosa, poiché neanche un millimetro di pelle deve essere esposto. Si entra nella zona di vestizione sempre in coppia, in modo da controllarsi a vicenda. Una volta protetti da questa “armatura” bisogna lavorare con rapidità ed efficienza, perché dopo un’ora sei zuppo di sudore. “Se Dante avesse immaginato un decimo girone infernale sarebbe stato questo”. Questo abbigliamento rende irriconoscibili. Molti medici e infermieri scrivono il loro nome sulla tuta per creare maggior contatto con i pazienti che in questo modo possono riconoscerli. In alternativa, utilizzano dei simboli per identificarsi e non essere anonimi, come dei fiori per esempio. “A volte mi viene voglia di sedere al fianco di un paziente, togliere la tuta e stringerlo tra le braccia” spiega Carlotta, infermiera italiana. “Vogliamo trasmettere ai nostri pazienti un po’ di calore. Potrebbero morire presto e noi siamo gli unici esseri umani che vedranno”. Scusate, torno al Vangelo.
Ebbene Gesù, senza tuta gialla, tocca un lebbroso e lo guarisce! Chiaramente un miracolo così accende l’entusiasmo, provoca una standing ovation più sincera di quelle di Sanremo. Trascina le folle ad un atto di fede simile a quello del lebbroso: “se vuoi, puoi purificarmi” ovvero tu sei capace di fare miracoli. Sembrerebbe che finalmente Gesù abbia trovato il modo di essere riconosciuto e creduto. E allora perché: “ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: Guarda di non dire niente a nessuno”?
Gesù ha provato compassione per lui, lo ha toccato, lo ha liberato dall’emarginazione, lo spinge a reimmergersi nel cerchio delle relazioni sociali (“va’ a mostrarti al sacerdote”). Ma poi, gli intima di tacere: Gesù non vuole pubblicità, non vuole che si confonda l’annuncio del “Vangelo” con l’entusiasmo, con la meraviglia suscitata dalla diffusione dei miracoli, non vuole che si confonda la fede in Lui con l’illusione di aver trovato la soluzione miracolistica di tutti i problemi.
In altre parole desidera la nostra amicizia, non vuol essere “usato” per star meglio.
Sembra quasi che preferisca non fare miracoli per lasciarci liberi di amarlo senza secondi fini. Non ha resistito, ha toccato il lebbroso a causa del gran cuore che ha ma avrebbe preferito fargli capire che è suo fratello con o senza malattia.
Gesù, quanto mi piaci! (anche se non riesco ad amarti abbastanza).

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