Vangelo della domenica (31-08-2014)

XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
LA VIA DELLA CROCE

La prima lettura è un brano delle “confessioni”, amare e dolorose, di Geremia per le ostilità che il profeta incontra nell’esercizio del suo ministero. Sono testi caratteristici di Geremia e assai importanti perché all’origine di una tradizione letteraria sul tema del profeta perseguitato.
Il ministero profetico, soprattutto, non è una vocazione alla tranquillità: è scomodo e scomodante. Geremia vorrebbe sottrarsi all’ingrato compito, ma la parola di Dio gli brucia dentro con tale urgenza che non può contenerla. La sua anima è terreno di battaglia dove si scontrano potenze difficilmente conciliabili fra loro: Dio, il mondo, la ricerca di se stesso. Al profeta non rimane che una possibilità: lasciarsi sedurre dal suo Signore.
Diverso è l’atteggiamento di Gesù. Per lui, la sofferenza, la passione e la morte non solo non sono uno scandalo, ma sono in certo qual modo una conseguenza della situazione di peccato dell’uomo. La morte è la “sua ora” che si avvicina. E’ necessario che egli si rechi a Gerusalemme e soffra molto da parte degli anziani e dei sommo sacerdoti.
Nelle parole di Gesù la sofferenza e la morte non sono semplici previsioni di un fatto, fondate sulle circostanze (rifiuto da parte dei capi del popolo), ma qualcosa che “deve” venire, un momento specifico e determinante già prefigurato e preannunciato dai profeti nel piano salvifico di Dio.
Con queste affermazioni Gesù si stacca completamente dalle comuni concezioni messianiche del suo tempo, condivise anche dai suoi discepoli. Non è un messia politico, ma neppure un semplice profeta, bensì colui che è mandato a dare la vita.
E’ sintomatico come reagisce Pietro a questa rivelazione di Gesù: lui che, ammaestrato dal Padre, aveva confessato la missione messianica e la figliolanza divina di Cristo, ora, con incoerenza tipicamente umana, rifiuta con decisione l’immagine di un messia sofferente, di un servo crocifisso.
La rinuncia alla propria vita e la sofferenza non sono però viste dal vangelo, né come una necessità cuio rassegnarsi, né come una eroica ma disperata oblazione alla morte. Piuttosto sono considerate come la via per mettere in luce il profondo valore dell’essere umano.
Le parole di Gesù ci mettono di fronte due diversi modi di concepire la vita: quello che ragiona secondo la “carne e il sangue” e quello che vede le cosew e gli avvenimenti con gli occhi di Dio. C’è infatti chi attende la salvezza dal successo terreno, dal “guadagnare il mondo intero” e quindi organizza la sua vita e la sua attività in questo senso, e cìè chi aspetta la salvezza dalle mani di Dio e a lui totalmente si affida, vivendo nella fedeltà alla sua parola e alla sua 

chiamata, anche se agli occhi del mondo “perde la sua vita” e va incontro al fallimento e all’insuccesso. Le due mentalità non dividono gli uomini su due schieramenti opposti; esse possono convivere nell’animo dello stesso individuo: nell’animo di Pietro, per esempio, che è pronto a confessare Gesù, messia e figlio del Dio vivente, ma che subito dopo diventa “satana” perché cerca di allontanare Gesù dalla sua missione e dalla volontà di Dio.
C’è anche un altro modo di tradire la parola di Gesù. Quello di accettarla sul piano teorico o dell’affermazione verbale per poi smentirla puntualmente nella pratica e nella vita. Quante volte ascoltiamo e ripetiamo senza batter ciglio le esigentissime e compromettenti affermazioni di Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce…”, “Chi vuol salvare la sua vita la perderà…”, “A che serve guadagnare il mondo intero?”. Alle esplosive affermazioni evangeliche opponiamo continuamente le barriere della nostra pigrizia e mancanza di volontà di conversione, le svuotiamo della loro radicalità, le ricuciamo a slogans, a modi di dire paradossali, ma innocui.
Sono tipici di certi cristiani alcuni atteggiamenti e comportamenti individuali.

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