Attualità (12-11-2017)

DOVE VA LA CHIESA? (2)

Come presentare ancora oggi, con un linguaggio rinnovato, la bellezza della fede in Gesù Cristo? Il deposito della fede non è realtà statica, come vorrebbero i tradizionalisti, ma qualcosa di dinamico e vivo. “La Parola di Dio, ha detto Papa Francesco, non può essere conservata in naftalina, come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti”.
Non si tratta di cambiare la dottrina, come alcuni detrattori accusano Papa Francesco di fare, ma di “inculturare” la parola di Dio nella realtà di ogni tempo. “La rottura tra Vangelo e cultura è, senza dubbio, il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre”, ricordava Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi, da cui Francesco ha preso ampia ispirazione per la sua Evangelii gaudium. “Occorre evangelizzare non in maniera decorativa come una vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità fino alle radici, la cultura e le culture dell’uomo”.
“Custodire” e “progredire”: è questo il compito della Chiesa. E’ questa la grazia che è stata concessa al popolo di Dio, ma è ugualmente un compito e una missione di cui portiamo la responsabilità, per annunciare in modo nuovo e più completo il Vangelo di sempre ai nostri contemporanei. Missione che richiede, prima di tutto, coerenza di vita: “Non basta essere credenti, bisogna essere credibili” ha scritto il giudice Livatino, ucciso dalla mafia.
E il regista Ermanno Olmi, sul rifiuto di accogliere gli stranieri dice: “Cosa può esserci di più importante dell’accoglienza? Vorrei che i cattolici si ricordassero di essere cristiani. Il vero tempio è la comunità umana”. E’ questa la “Chiesa samaritana” di Francesco, che annuncia la gioia del Vangelo con la “medicina della misericordia”.
Francesco, all’assemblea dei vescovi italiani ha chiesto una ”vera conversione”, indicando l’Evangelii gaudium come linea guida.
La Chiesa di Dio che è in Italia vive un tempo che dovrebbe essere di scelte e decisioni molto importanti. Sarà capace di operare quel mutamento profondo impostole dalla fine di un’epoca e dall’affacciarsi dai germogli di una nuova stagione? Sarà capace di quell’urgente “conversione pastorale” alla quale la chiama Francesco, perchè la primavera inaugurata dal Papa ormai è attestata e il rischio grande è che risulti estranea, anacronistica, rispetto all’inedita situazione antropologica, sociale e culturale.
Sono già passati più di quattro anni dall’inizio del suo pontificato, considerando che questo papato non potrà essere lungo come quello di Giovanni Polo II, con la possibilità di incidere a lungo nella vita della Chiesa. Tutti sono convinti di questo cambiamento d’epoca, ma poi l’incamminarsi effettivo su nuovi sentieri, l’andare al largo, su acque profonde, è un’altra cosa. E’ qui che prevale l’inerzia, il “si è sempre fatto così”, un facile provvidenzialismo scambiato per fede, il rifiuto della fatica a discernere i segni dei tempi. Il Papa non ha chiesto un qualche rinnovamento pastorale, ma una “conversione pastorale”. Perché tanta lentezza? (continua)

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