Attualità (17-06-2018)

GOVERNANO I PEGGIORI?

La Bibbia, nel libro dei Giudici (Gdc 9, 7-21), narra un fantasioso apologo rivolto ai governanti del tempo. Gli alberi si misero in cammino per eleggere sopra di loro un re. L’ulivo, il fico, la vite non vollero rinunciare ai loro frutti per elevarsi al di sopra dei loro colleghi. Alla fine, ci si rivolse al rovo, il peggiore, che accettò subito la nomina accompagnandola con parole di oscura minaccia:
“ Se davvero mi ungete re su di voi, venite e rifugiatevi alla mia ombra; se no, esca un fuoco dal rovo e distrugga i cedri del Libano”.
Collocato nel suo contesto, l’apologo è una maledizione efficace perché conforme alla visione deuteronomistica della storia; tuttavia le sue immagini paradossali trascendono l’ambientazione specifica. Grazie ad esse da un lato costatiamo il rifiuto di darsi alla politica da parte di coloro che producono frutti nella società (ulivo, fico, vite), dall’altro registriamo la volontà di occupare quel posto da parte di coloro che sono improduttivi sul piano economico e culturale (rovo).
Un dramma della politica è che non si può fare a meno del governo; eppure di frequente il potere cade nelle mani dei peggiori, ciò avviene anche perché i migliori rifiutano di assumere le responsabilità pubbliche che a loro competerebbero. Il discorso però è meno schematico di quanto non appaia. Lo è se si tiene conto della motivazione espressa dagli alberi fruttiferi, i quali concordemente sostengono di rinunciare alla carica, perché la sua assunzione impedirebbe loro di produrre frutti. In altri termini governano i peggiori anche perché è l’esercizio stesso del potere a rendere le persone peggiori.
Riflessioni legate al “governo dei peggiori” sono presenti anche nella settima Lettera di Platone.
Da giovane il grande filoso pensava di dedicarsi alla politica, anzi era stato invitato a farlo anche da alcuni suoi familiari e conoscenti che rientravano nella cerchia dei Trenta tiranni. In effetti, egli allora riteneva che essi avrebbero potuto purificare la città dall’ingiustizia; tuttavia il loro comportamento ben presto fece apparire oro il governo precedente. Non andò meglio la democrazia restaurata, la quale mise addirittura a morte Socrate.
Platone dovette quindi constatare che era sempre più difficile ”partecipare all’amministrazione dello stato rimanendo onesti”. La conclusione è nota: “ Vidi dunque che mai sarebbero cessate le sciagure delle generazioni umane, se prima al potere politico non fossero pervenuti uomini veramente schiettamente filosofi, o i capi politici della città fossero divenuti, per qualche corte divina, veri filosofi”.
Avendo ormai alle spalle che Dio regga la storia attraverso punizioni atroci volte a suscitare pentimenti risanatori, sia la fiducia che la ragione filosofica possa rigenerare la politica, la nostra priorità si concentra sull’impegno che l’ulivo, il fico e la vite continuino a produrre i loro frutti nonostante l’incombere dei rovi; se risanamento ci sarà, non potrà cominciare che da lì.

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