Attualità (19-11-2017)

DOVE VA LA CHIESA? (3)

Abbiamo alle spalle, dopo la primavera di Giovanni XXIII, del Concilio e di Paolo VI, decenni in cui la Chiesa italiana ha cercato, sì, di attuare il Vaticano II, però non solo assecondandone un’interpretazione restrittiva, ma dimenticando l’evento Concilio e lo spirito che lo animava. E’ stata una chiesa più impegnata ad auto conservarsi, che non una chiesa estroversa; una chiesa autoreferenziale e in difesa, e non una chiesa in confronto fiducioso con l’umanità, che ha tentato di far rivivere, fino ad illudersi di esservi riuscita, una nuova forma di cristianità, giungendo persino, negli anni intorno al 2000, ad un’alleanza col potere politico. Una chiesa tentata di stemperare il cristianesimo in “religione civile”.
La chiesa italiana non ha recepito lo spirito del Concilio; si è limitata a qualche ritocco di facciata. Anche oggi la maggioranza dei vescovi e dei preti non è proprio ostile a Papa Francesco, ma resta con un’altra sensibilità che gli impedisce un’adesione entusiasta alle sue idee e alle sue proposte.
I vescovi in maggioranza sono “in carriera” e in attesa di una promozione. I preti sono stanchi, sempre più pochi, anziani e malati, se parroci, oberati dalla gestione dei beni e dalle incombenze amministrative e burocratiche. I più giovani sono amanti delle trine, dei cappelli e delle mozzette, e, comunque formati a “pettinare, come dice Francesco, sempre le stesse pecore”, piuttosto che a sperimentare le vie dell’evangelizzazione dei lontani. Sono pochi i preti che si entusiasmano a nuove forme di missione.
Come può, in queste condizioni, la nostra chiesa assumersi la responsabilità del mutamento che le è necessario per essere luce e sale in un mondo che è, sì, indifferente al fatto religioso, ma che è anche sempre raggiungibile dal Vangelo, il quale, se è ascoltato, provoca la fede. Ma perché il Vangelo possa essere ascoltato, ci vuole chi lo annunci.
E’ urgente che ogni credente, parrocchia, comunità, chiesa locale riconosca fattivamente la priorità e la centralità del Vangelo. E’ il Vangelo che deve plasmare la vita del cristiano; è la vita umana di Gesù che deve ispirare la sua vita quotidiana.
Ciò richiede un’assiduità personale con la parola di Dio e che tutto l’operare della Chiesa sia obbedienza piena al Vangelo. “Il Vangelo è potenza di Dio” (Rom 1,16), è l’energia necessaria all’operare dei cristiani. Ci si disperde troppo in manifestazioni religiose che non fanno riferimento alla parola di Dio, in forme di catechesi che non comprendono l’annuncio della “gioia del vangelo”, ma sono solo tese alla preparazione dei momenti di vita della chiesa e dei fedeli (preparazione al Battesimo e al matrimonio, catechesi ai bambini e ai ragazzi in funzione della prima comunione e della Cresima). La catechesi è dispersiva, perché non comprende o non è preceduta dalla evangelizzazione.
Sono pochi i “cristiano del Vangelo” e sono assai di più i “cristiani del campanile”, che al Vangelo preferiscono la tradizione, e all’ascolto della parola di Dio preferiscono le devozioni.
Ecco perché Francesco, accolto da molti con entusiasmo, simpatia e applausi, comincia a subire anche diffidenze e rifiuti: perché “riguardo alla misericordia esagera”; perché “con questa accoglienza dei migranti esagera”; perché “con lui non si capisce più chi è fuori e chi è dentro la Chiesa”. Parole che manifestano come la mente che le partorisce sia lontana dall’annuncio del Vangelo.
Se il Vangelo torna a essere l’ispiratore della vita, allora le altre urgenze, quella di una Chiesa sinodale, di una Chiesa povera e per i poveri, di una Chiesa aperta a tutti, anche ai peccatori, saranno tenute in conto e realizzate. Allora la Chiesa sarà missionaria o, meglio, ogni battezzato sarà evangelizzatore, capace di farsi ascoltare perché esercitato all’ascolto del Vangelo e all’ascolto degli uomini. (fine)

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