Attualità (30-06-2013)

PACE E GIUSTTIZIA

Nel 1963, 50 anni fa, a Concilio appena iniziato, Papa Giovanni XXIII pubblicava l’enciclica “Pacem in terris”. Poco tempo dopo il Papa “buono” moriva. Si può considerare, perciò, questa enciclica come il suo testamento spirituale.
In realtà essa tratta solo marginalmente i temi della pace e della guerra (solo in 4 numeri su 91, in cui parla del disarmo di fronte al grave pericolo della guerra atomica).
L’enciclica invece parla delle condizioni per realizzare una convivenza nella pace: la prima è riconoscere che “ogni essere umano è persona, soggetto di diritti e di doveri, che scaturiscono immediatamente dalla sua stessa natura. Diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili”. Il rispetto dei diritti degli altri e l’adempimento dei propri doveri assumono un’importanza fondamentale, per la costruzione della pace.
Come, in concreto, questa linea di onestà morale può diventare stile di vita nell’esperienza quotidiana? E come, quando la si tradisce, si compromette la pace?
Si può promuovere o tradire la pace in vari ambiti e livelli. Per il momento affrontiamo il livello sociale, che è quello più ampio. Esso riguarda il contributo al bene comune, perché “siamo tutti responsabili di tutti” ( Sollicitudo rei socialis, n. 28).
Il bene comune è fatto anche di beni concreti: la scuola, la strada, l’ospedale, la chiesa parrocchiale, il campo sportivo… Come curiamo e rispettiamo i beni messi in comune, cioè che appartengono a tutti? Per esempio, il circolo MCL (Movimento Cristiano Lavoratori) di Piano del Quercione, che, è bene precisare, non è “parrocchiale”, occupa un bene della parrocchia perché dice di aver contribuito a costruirlo e di usarlo per il bene degli abitanti del paese. Ma qualcuno mette giustamente in dubbio che le slot machine che vi si trovano siano un servizio al bene del paese. Tanti esercizi pubblici stanno eliminando le slot dai loro locali per senso di responsabilità verso i cittadini.
Il bene comune, poi, ha dei costi. Che vengono pagati da tutti i cittadini con le tasse. L’evasione fiscale è un furto alla comunità. Se gli evasori fiscali pagassero le tasse, ci sarebbero meno problemi per le pensioni, per i servizi,, per le scuole. Ci sono i grandi evasori, ma ci sono anche i piccoli, che non esigono dall’artigiano, dal professionista, dal commerciante la ricevuta.
La realizzazione del bene comune è affidata anche alle pubbliche istituzioni, governo, regioni, comuni… Ma queste, in uno stato democratico ricevono la delega dal popolo, cioè da ciascuno di noi, perché “la sovranità è del popolo” (art 1 della Costituzione). Ma la nostra responsabilità non può esaurirsi col voto, tra l’altro oggi sempre più disistimato e da molti ritenuto inutile. Dobbiamo controllare come viene usata, se per il bene comune o per interessi personali o di gruppi e lobbies. In Parlamento e al Governo questo controllo lo dovrebbe fare l’opposizione, a livello locale, nei comuni, oltre all’opposizione, tutti i cittadini, con una presenza costante e attiva nei vari organismi di partecipazione (es. consigli di frazione) o spontanei (es. comitati).
La comunità cristiana non è esente da questo impegno: il suo servizio ai poveri non deve sostituire le responsabilità delle istituzioni. Se il Comune non ha risorse per i poveri, deve dire chiaramente come spende quelle che ha, quali priorità sceglie. Non sarebbe bene, ad esempio, per ridurre le spese, accorpare più comuni? Non dovrebbe un comune render conto se sta trasformando le piazze da luoghi di incontro in parcheggi per le automobili, le aree verdi per i bambini e gli anziani in aree per i cani?… Talvolta si giustificano le scelte con la volontà della maggioranza dei cittadini. Siamo sicuri che sia proprio così? E la maggioranza può modificare a proprio piacimento i diritti e i doveri affermati?

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