Commento al Vangelo della Va domenica del tempo ordinario anno c

Va domenica del tempo ordinario – anno c

Commento di p. Fernando Armellini, scj

Vangelo (Lc 5,1-11)
1 Un giorno, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genèsaret 2 e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3 Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca.
4 Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca”. 5 Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. 6 E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. 7 Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano.
8 Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”. 9 Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; 10 così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone.
Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. 11 Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

 

Come il Signore, anche il cristiano è “amante della vita” (Sap 11,26), desidera la vita, s’impegna per la vita. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza” – dice Gesù riferendosi alla sua missione fra gli uomini (Gv 10,10).
Come porta a compimento oggi questa sua missione? Quale compito ha assegnato ai suoi discepoli? A queste domande Luca non risponde con ragionamenti, ma con un racconto: la chiamata dei primi tre apostoli.
L’episodio si svolge sul lago di Genèsaret. Gesù è pressato dalle folle e, viste due barche di pescatori, sale su quella di Pietro, lo prega di scostarsi un po’ da terra, si siede e si mette ad ammaestrare la gente (vv.1-3). Il quadro è poco realistico (basti pensare a quanto sia scomodo parlare da una barca a una gran folla). La scena è volutamente idealizzata per trasmettere un insegnamento teologico.
Notiamo anzitutto il contesto in cui è ambientata: sulla riva del lago e in un giorno feriale, mentre gli uomini sono impegnati nel loro lavoro, mentre stanno sudando per guadagnarsi da vivere.
Non è solo durante la liturgia del sabato e negli ambienti e luoghi di culto che Gesù annuncia la parola di Dio. Egli la proclama in tutti i contesti, in quelli sacri e in quelli profani, perché essa illumina, ispira, guida ogni attività dell’uomo.
Si siede – cioè assume la posizione di maestro – stando sulla barca di Pietro.
Il simbolismo è evidente: la barca rappresenta la comunità cristiana. E’ quello il luogo privilegiato dal quale ci si deve attendere la voce del Maestro; è ad essa che è invitato a volgere lo sguardo chi cerca luce, consolazione e speranza.
Assieme a Gesù, sulla barca non ci sono persone eccezionali, sante, perfette! Santo è solo Dio. C’è gente buona, sì, ma anche peccatrice. Pietro lo riconoscerà anche a nome degli altri: “Signore allontanati da me che sono un peccatore” (v.8). Tuttavia, malgrado sia occupata da peccatori, è da questa barca che viene proclamata la parola di Dio. All’annuncio della Parola (vv.1-3) segue l’azione. Su ordine del Maestro, la barca prende il largo, si avventura sulle acque del mare. Là i discepoli sono invitati a gettare le reti e a pescare (vv.4-7). E’ la comunità cristiana che, animata dal messaggio evangelico che ha ascoltato e assimilato, si disperde per le vie del mondo per svolgere la sua missione.
Pietro obietta, gli sembra che l’ordine datogli da Gesù sia insensato: quella non è l’ora adatta per pescare. Ma si fida. E’ la prima persona che, durante la vita pubblica, manifesta la sua fede nella parola del Maestro.
E’ un grosso rischio che Pietro è disposto a correre. Sa che, in caso di insuccesso, si espone al ridicolo e ai motteggi dei colleghi. La logica umana gli suggerirebbe di rinunciare, ma preferisce obbedire. Dopo un primo momento di incertezza, si decide e si mette all’opera. Crede che la parola di Gesù può realizzare l’impossibile. Ha già fatto esperienza della forza di questa parola quando ha visto sua suocera curata istantaneamente dalla febbre (Lc 4,38-39).
Il risultato è sorprendente, la quantità di pesci catturata è enorme e l’evangelista la sottolinea evidenziando vari particolari: le reti stanno per rompersi, si deve ricorrere all’aiuto dei soci, le barche sono stracolme e rischiano di affondare.
A questo punto Luca introduce la reazione di Pietro e di coloro che hanno assistito al prodigio. Simone si getta alle ginocchia di Gesù e dichiara la propria indegnità: “Allontanati da me che sono un peccatore” – dice, mentre gli altri sono colti da stupore (vv.8-10a).
E’ il modo con cui nella Bibbia si narra l’incontro con il Signore: Mosè si vela il viso perché ha paura (Es 3,6); Elia si copre il volto con il mantello (1 Re 19,13). Come Isaia – lo abbiamo visto nella prima lettura – anche Pietro si sente peccatore. Non perché, fino a quel momento, avesse condotto una vita immorale, ma si è reso conto della distanza che lo separa dal divino e confessa la propria indegnità.
Siamo così giunti al tema centrale del brano (vv.10b-11).
Il motivo principale per cui Luca narra l’episodio è quello di far capire ai discepoli delle sue comunità quale è il compito a cui sono chiamati: essere pescatori di uomini.
I pesci, noi lo sappiamo, stanno benone nell’acqua e non sono affatto contenti di esserne tirati fuori. Nell’acqua però non si trovano altrettanto a loro agio gli uomini, specialmente quando si tratta di quella del mare immenso, profondo, cupo, agitato. I pesci tirati fuori dall’acqua muoiono, gli uomini invece vivono. Di questo simbolismo si serve Gesù per spiegare ai discepoli qual è la loro missione. Egli non li invita a “prendere gli uomini con l’amo”, ma a tirarli fuori vivi con la rete dalle onde impetuose dalle quali rischiano di venire sopraffatti, sommersi, trascinati sul fondo.
Il verbo usato dall’evangelista per descrive questa missione non è propriamente “pescare”, ma catturare vivi, “prendere per mantenere in vita” (Nm 31,15.18; Dt 20,16; Gs 2,13; 6,24…) e dunque portare alla vita.
Nella Bibbia le acque del mare sono il simbolo del potere del male, delle forze che portano alla morte. Uomini che devono essere “pescati”, cioè aiutati a vivere, sono coloro che si sentono travolti dai loro vizi, che sono in balia dei loro idoli, delle loro passioni sregolate, che sono capaci solo di fare del male a se stessi ed agli altri. “Pesce” che deve essere tirato fuori dalla sua condizione disperata è l’umanità intera che rischia di venire inghiottita dalla violenza, dagli odi, dalle guerre, dalla corruzione morale…
Sant’Ambrogio diceva: “Gli strumenti della pesca apostolica sono le reti, infatti non fanno morire chi vi è preso, ma lo conservano per la vita, lo traggono dagli abissi alla luce e dal profondo conducono alla superficie chi vi era sommerso”.
Questa missione non è stata affidata solo ai preti, ma a tutta la comunità cristiana.
Un ultimo elemento va sottolineato in questo simbolismo del brano ed è il ministero affidato a Pietro. E’ lui che guida la barca verso il luogo indicato (v.4), è lui che proclama la sua fede nel potere della parola di Gesù (v.5), è lui che lo riconosce come Signore (v.8); è a lui che viene diretto l’invito a essere pescatore di uomini (v.10).
Tutti questi elementi indicano che Pietro ha un compito particolare da svolgere nella Chiesa: quello di ascoltare con attenzione la parola del Signore e di dirigersi poi, assieme agli altri discepoli, non dove esperienza e abilità professionale gli suggerirebbero di andare, ma dove il Maestro gli indica.
Il brano non ha lo scopo di sollecitare coloro che nella comunità cristiana svolgono il ministero della presidenza a rivendicare per sé il diritto di comandare, di imporsi o addirittura di farla da padroni sul popolo di Dio (1 Pt 5,3). E’ un invito a verificare il modo come esercitano il carisma dell’autorità. Hanno piena fiducia nella voce del Maestro? Sanno riconoscere questa voce? Sono in grado di distinguerla dalla “sapienza di questo mondo”, dal “buon senso” e dai calcoli umani, dalle loro intuizioni, dalle loro convinzioni personali?
A questo esame di coscienza è chiamato anche ogni cristiano che dovrebbe preoccuparsi se verificasse che nessuno lo ha mai considerato un illuso, un sognatore, uno che è pronto anche a… “pescare a mezzogiorno” se il Maestro glielo chiede.

One Reply to “Commento al Vangelo della Va domenica del tempo ordinario anno c”

  1. Riccardo

    Un commento bello, esauriente senza mai essere pesante e, soprattutto, in grado di illustrare quasi visivamente ciò che sta accadendo e allo stesso tempo fornendo chiare indicazioni sulla simbologia che Luca impiega per esemplificare al meglio ciò che Gesù chiede in prima istanza ai tre aspiranti apostoli e, duemila anni dopo, chiede ancora a ciascuno di noi

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