Commento alla 2a lettura della 2a domenica di Pasqua anno c

Questa settimana vi lascio per ora la meditazione sulla seconda lettura di domenica prossima tratta dal libro dell’Apocalisse, l’ultimo della Bibbia.  A tutti voi Buona Pasqua perché fino a domenica 24 aprile è sempre il giorno di Pasqua.

Seconda Lettura (Ap 1,9-11a.12-13.17-19)
9 Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù.
10 Rapito in estasi, nel giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: 11 Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese.
12 Ora, come mi voltai per vedere chi fosse colui che mi parlava, vidi sette candelabri d’oro 13 e in mezzo ai candelabri c’era uno simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro.
17 Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo 18 e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi. 19 Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo.

La lettura ci presenta la visione con cui si apre il libro dell’Apocalisse. L’autore – che si identifica come Giovanni – dice di trovarsi a Patmos, un’isola del mare Egeo. E’ stato deportato là a causa della sua fede in Cristo, probabilmente a causa del suo rifiuto di rendere culto all’imperatore.
I tempi sono difficili. Siamo negli anni in cui a Roma regna Domiziano, un megalomane che ha riempito l’impero delle sue statue, che sull’esempio di Giulio Cesare e di Augusto ha dato il suo nome a un mese dell’anno e ha chiamato Domizio il mese di ottobre in cui è nato, che ha fatto erigere ovunque templi in suo onore, che ha stabilito che ogni circolare emanata in suo nome cominci con le parole: “Domiziano, il nostro signore e il nostro dio ordina che…”.
Questa pretesa dell’imperatore di essere adorato come un dio suscita conflitti di coscienza nei cristiani dell’Asia Minore; molti di loro rifiutano e per questo vanno incontro ad angherie e soprusi. Per incoraggiarli a rimanere saldi nella fede, l’autore dell’Apocalisse scrive la sua visione e utilizza delle immagini che, per essere capite, hanno bisogno di una spiegazione.
Giovanni vede un figlio d’uomo in mezzo a sette candelabri; ha una veste bianca che gli arriva fino ai piedi ed è cinto con una fascia d’oro (vv.12-13).
Il figlio dell’uomo è il Signore risorto. La veste lunga – che era la divisa dei sacerdoti del tempio – indica che Gesù ora è l’unico sacerdote. La fascia d’oro ai fianchi era il simbolo della regalità. Gesù, dunque, è indicato come l’unico re. I sette candelabri rappresentano l’insieme delle comunità cristiane (il numero sette indica la totalità). Va ricordato anche che, in Oriente, durante le cerimonie in onore dell’imperatore, si era soliti prostrarsi davanti ad una sua immagine, collocata in mezzo a dei candelabri.
Il senso di questa scena grandiosa è il seguente: il Signore risorto, non l’imperatore, sta al centro dell’adorazione di tutte le comunità cristiane. E’ lui il re che le guida e le governa con la sua parola; è lui il sacerdote che, donando la propria vita, offre l’unico sacrificio gradito a Dio.
L’autore dell’Apocalisse rivolge a tutte le comunità cristiane l’invito a fare una verifica e a chiedersi chi collocano al centro dei loro incontri nel giorno del Signore: è il Risorto e la sua Parola o sono altre persone e altre parole? Vuole che si chiedano a chi rendono culto, a quale re obbediscono: a Cristo o al potente di turno?

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