E’ Domenica (10-05-2020) V domenica di Pasqua

CHI VEDE ME VEDE IL PADRE

La liturgia mostra la “responsabilità” del credere nel voler essere cristiano. Si tratta di una grazia ricevuta per mezzo dell’azione totale e definitiva di Cristo, a partire dalla sua vita terrena fino a giungere alla vita soprannaturale, nella quale egli ci ha preceduto per prepararci una dimora eterna.
Nella prima lettura viene presentata la nascita del diaconato e si mostra come l’annuncio della parola abbia la necessità di essere supportato da una serie di servizi tutti indispensabili.
Ogni fedele si rende conto di quanto sia importante ed efficace il suo compito, il suo ruolo, per la costruzione del regno di Dio.
Aspetto ripreso nella seconda lettura, dove si sottolinea il fatto di come ognuno di noi, che ha aderito al Cristo diventi pietra viva, come lo è divenuto il nostro Salvatore, con l’onore e l’onere di edificare un edificio spirituale che sappia divenire testimonianza duratura nei confronti di tutti gli uomini. Se si obbedisce alla parola del Signore, non si inciampa, ma si diventa stirpe eletta.
Il vangelo mostra che credere in Gesù Cristo significa credere nel Padre che lo ha mandato. Nonostante la perplessità dei discepoli, il Maestro, con la solita mitezza, spiega ai suoi come chi veda lui veda il Padre, chi ascolti lui ascolti il Padre, perché i due sono una cosa sola.
Per giungere alla dimora eterna preparata dal Figlio, è necessario passare attraverso lui, che ne è la porta, la via, la verità, nonché la vita. La fede in Cristo apre la rivelazione del Padre.

V DOMENICA DI PASQUA- Vangelo

La liturgia della V Domenica di Pasqua, attraverso le parole dell’evangelista Giovanni, ci propone un discorso fatto da Gesù ai discepoli durante l’Ultima cena. Sapendo che la sua vita terrena sta per giungere al termine, Gesù incoraggia i discepoli a non essere turbati dal suo andare via. Li esorta, anzi, ad avere fede, in Lui e nel Padre, che non sono separati come credevano i discepoli, ma sono l’uno nell’altro: Gesù è Dio fatto uomo ed ha quindi in sé il Padre. Egli è venuto sulla Terra per portarci la salvezza, per “prepararci un posto”. Un posto a cui si accede percorrendo una Via luminosa, che è Verità e dà Vita.
Sono infatti queste le parole con cui Gesù si identifica: Via, Verità e Vita. L’immagine della via richiama quella della porta, del Vangelo di domenica scorsa. Entrambe alludono ad una scelta da compiere e ad un percorso da intraprendere, affinché la nostra fede maturi e progredisca sempre più. Si tratta quindi di una via di gioia e di amore, di misericordia e di speranza. La Via ci è indicata chiaramente attraverso la Parola di Dio, che è Verità, e che, se lasciamo che entri nel nostro cuore e nella nostra vita, traccia il cammino da seguire. Non basta dunque un ascolto superficiale della Parola, che si traduce nella mera applicazione di precetti dei quali viene perso il significato più profondo. Serve, bensì, un ascolto fatto con il cuore, capace di modellare la nostra vita. Quella che Gesù ci propone è infatti una via che porta alla salvezza, alla vita, ed è tramite Lui che possiamo giungervi, già adesso. Gesù ha lasciato il testimone ai discepoli, e quindi a noi, per agire animati dalla fede in Lui. Al termine del brano, infatti, Gesù ci dice che chi crede in Lui potrà compiere le opere che egli compie: con la potenza della fede possiamo già sperimentare, qui e ora, la gioia della vita in Dio.

V domenica di Pasqua – clicca sopra per leggere la parola di Dio

UNA CHIESA SENZA ASSEMBLEA

La parola “chiesa”, dal greco “ecclesìa”, significa assemblea. Se la Chiesa non può radunarsi va in crisi. Nella storia, quando si è voluto lottare contro la Chiesa le si è impedito di radunarsi. Senza raduno non c’è Chiesa. Chi impedisce il raduno è un nemico. Questa idea è scattata in molte persone, conservatrici e tradizionaliste. Si è invocato il Concordato, la libertà di culto, l’autonomia della Chiesa rispetto allo Stato. Però il raduno è scattato non contro la Chiesa, ma per difendere il bene comune di tutta la comunità civile. Allora le cose cambiano .
Il raduno è un bene, e il suo divieto è un bene maggiore. Tra i due beni non ci sono possibilità di mediazione. Il Covid 19 ha dato ai cristiani una serie di nuove opportunità.
Se i corpi restano a casa, gli occhi, le orecchie, le menti e i cuori hanno provato ad uscire, hanno cercato si incontrarsi, di connettersi. A questo proposito i social network, spesso non sufficientemente valorizzati nella pastorale, sono stati strumenti preziosissimi.
C’è un pericolo, però: quello della spettacolarizzazione dei riti. Il popolo di Dio non è un muto spettatore, tanto più se accomodato sul divano di casa. Ci sono state anche forme di partecipazione attiva e interattiva. Ci sono state forme di partecipazione familiare, con una intensità inattesa. All’inizio dell’epidemia, era corsa l’idea di chiudere, di fermare tutte le attività… ma quando il fenomeno si è manifestato nella sua tragicità di sofferenza e di morte, hanno continuato ad esitare solo i tradizionalisti senza cuore e gli sciacalli.
Acquisita la condizione di chiusura, si è verificata una scissione tra l’iniziativa lodevole di alcuni ministri e fedeli e la lettura fredda e burocratica, puramente normativa di una piccola parte di pastori e fedeli.
Si è tentato anche di ritornare alla teologia precedente al Concilio Vaticano II°, quando si è affermato che il prete, da solo, costituirebbe il “soggetto sufficiente” alla celebrazione. Sarebbe un ritorno al passato mai dimenticato da alcuni nostalgici, ma ormai dissonante rispetto alla sensibilità maturata dopo il Concilio. Si è cercato di interpretare l’attualità alla luce di una teologia vecchia e senza cuore. In realtà, questa emergenza ha rimesso in evidenza almeno tre necessità, più volte considerate, ma non pienamente condivise e messe in atto:
-1. L’assemblea celebrante è il corpo di Cristo Risorto ( e quindi non può essere pensata come un fatto accessorio);
-2. l’assemblea ha bisogno di più ministeri, non del solo prete;
-3. le donne possono esercitare funzioni importanti, se riconosciute titolari di un ministero forte e pieno. Esse sono portatrici dell’annuncio apostolico, dal quale dipende la stessa tradizione ecclesiale.
Questo passaggio è teologicamente esigente. Potrà mettere finalmente in soffitta i discorsini clericali composti di frasi fatte, di citazioni di uomini geniali, ma di altri tempi, e che scambiano gli assetti istituzionali nei quali si trovano senza averli scelti col Vangelo, come se fossero di diritto divino.

2 Replies to “E’ Domenica (10-05-2020) V domenica di Pasqua”

  1. Pierpaolo

    L’articolo “Una Chiesa Senza Assemblea”, mi ha riempito di gioia e fatto ricordare che domenica sarà la festa della mamma. Chi ne avrà la possibilità la incontrerà di persona, chi la sentirà per telefono e chi con un pensiero rivolto lassù. La nostra mamma, il tesoro più grande che il Signore mi abbia donato, insieme alla sua, Maria, alla quale ha chiesto di abbracciare come madre tutta l’umanità! Un grazie a Dio per il dono delle mamme e per tutte quelle donne che fanno da mamma a chi una mamma non ce l’ha e in questo tempo purtroppo sono in tanti!
    AUGURI A TUTTE LE MAMME!

  2. Riccardo

    Ho riflettuto sulla Parola di domenica 10 maggio e mi ha colpito il concetto di responsabilità introdotto da Don Michelangelo. E’ vero, la responsabilità del credente nasce dal momento in cui – per libera scelta – accetta di seguire l’insegnamento di Gesù, accetta le “tre V” (Via, Vita e Verità) si trova a dover esercitare una responsabilità nuova, sia nei confronti di se stesso che della nuova comunità alla quale, dal momento della scelta, si scopre di appartenere. La scelta fatta (chiamata anche “libero arbitrio”) fa si che il cristiano si debba relazionare con gli altri e che le sue azioni, per portare avanti e cercare di concretizzare il messaggio del Maestro, si relazionino ed interagiscano con quelle degli altri. E’ una scelta che ci può trasformare tutti in “pietre d’angolo”, ognuno in base alle sue capacità e volontà e possibilità, pietre che tutte insieme E SOLO TUTTE INSIEME possono contribuire alla costruzione dell’edificio comune. Per cui la comunità cristiana é una comunità fatta di azione, interazione e relazione, in cui ogni patrimonio del singolo – proprio perchè diverso l’uno dall’altro – é ricchezza condivisa, é esperienza. E’ una comunità che, più di ogni altra, è corale perché somma di individualità che – pur unite dalla condivisione della fede – allo stesso tempo mantengono la personalità del singolo, che rimane e non si snatura nel momento in cui tanti “io” formano un unico “noi.
    Certamente questa scelta richiede la responsabilità di non smettere mai di interagire, parlare, riflettere, porsi domande e migliorarsi perché solo così si mantiene la dinamicità e quel passo in avanti evocato da Giovanni XXIII, perché la Chiesa é fatta da noi e non da regole e prescrizioni che regolano solo “cosa non fare”. Quest’ultima era la posizione di una parte del clero a inizio secolo scorso che, mutati i tempi, si é rivelata sterile e infruttuosa, mentre il mondo di oggi ha sempre più bisogno del “fare”, che mai deve essere disgiunto dalle parole “bene” e “insieme”

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