E’ domenica (20-09-2020) – XXV domenica del tempo ordinario anno a

SERVIZIO DELL’ECCEDENTE  BONTA’ DI DIO

Il tema centrale delle letture di questa domenica è la bontà di Dio, che va ben al di là delle misure e dei calcoli umani.
Il passo di Isaia, nella prima lettura, si apre con l’imperativo “cercate il Signore”. Un’autentica ricerca di Dio non è possibile senza la più ampia disponibilità al cambiamento. Isaia parla di “abbandonare” e “ritornare”, e ci ricorda che i pensieri di Dio non sono i nostro pensieri, le sue vie non sono le nostre vie. Non si va n cerca di Dio per conservare se stessi e per difendere le proprie abitudini. Cercare Dio significa uscire da sé.
Nella seconda lettura, l’affermazione di Paolo “per me vivere è Cristo” ci fa prendere coscienza della nostra distanza dall’ideale cristiano. Siamo persone dai troppi interessi, persone frantumate e distratte. Per Paolo invece l’unica cosa importante è Cristo: corre, si affanna, fa molte cose, ma non è mai disperso.
Nel vangelo, infine, la parabola narrata da Gesù capovolge ogni criterio umano di valutazione e retribuzione. Egli non è venuto ad abolire la giustizia ed il diritto, ma a stabilire, al di sopra dell’una e dell’altra, un regime di bontà sovrana. La ricompensa riservata a chi risponde alla chiamata di Dio non si misura sulla bilancia del “diritto”, su una tassativa rispondenza tra prestazione e salario, ma unicamente sulla bontà divina.

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO –
COMMENTO AL VANGELO

La parabola narrata nel brano del Vangelo secondo Matteo di questa XXV domenica del Tempo Ordinario è uno di quei passaggi che ad una prima lettura poco profonda può lasciarci interdetti.
Per affrontare il tema della giustizia divina, infatti, Gesù narra una parabola in cui un padrone chiama a lavorare nella sua vigna diversi uomini, in vari momenti della giornata. Al tramonto, arrivato il momento di pagare i lavoratori per il servizio dovuto, il padrone dà a tutti la medesima cifra, sia a coloro che avevano lavorato nella vigna dall’alba, sia a coloro che vi avevano lavorato solo per poche ore. Leggendo questa parabola alla luce della logica umana, immediatamente si griderebbe all’ingiustizia. Tuttavia, la logica del Signore è diversa dalla nostra. Come si legge nella prima lettura, dal libro del profeta Isaia, “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie”.
La giustizia di Dio, infatti, non si basa sui meriti. Il padrone della vigna, in cui non è difficile vedere il Signore, dà con generosità agli operai la stessa paga perché tutti hanno accettato l’invito di lavorare nella vigna. Il sentimento di invidia che manifestano i lavoratori giunti all’alba (i “primi”) non rappresenta il cristiano. La fede in Cristo deve portare, infatti, a gioire per il benessere dell’altro e per il raggiungimento dei suoi successi. Dio, infatti, concede a tutti l’occasione di convertirsi e non considera meno importante una conversione che sopraggiunge in un’ora più tarda.
A prescindere, quindi, dall’ora in cui siamo chiamati a lavorare nella vigna del Signore, è fondamentale che il nostro “lavoro”, cioè la nostra vita, sia svolto per fede e per passione, non per il desiderio di una ricompensa. Altrimenti, ci rendiamo simili a quei “primi” che, egoisticamente, vorrebbero che il loro prossimo ricevesse una paga inferiore e che per questo diventano “ultimi”.

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO- clicca sopra per leggere la parola di Dio

PASTORALE NELL’EMERGENZA

Durante la chiusura forzata dal lock-down c’è stato smarrimento, come comunità cristiane ci si è sentiti impreparati. Da subito l’interrogativo è stato quello di come essere presenza che ha sapore di vangelo in una notte di tempesta che ti costringe a stare a casa. Così, una comunicazione mediata, digitale, della quale fino a quel momento si era fatto un uso marginale è divenuta improvvisamente opportunità di reale prossimità. I social media non sono stati utilizzati solamente per trasmettere celebrazioni eucaristiche, o momenti di preghiera, in quella che era l’esigenza di riconoscersi appartenenti ad un’unica fede, ma anche per promuovere solidarietà, organizzare volontariato; attraverso il digitale ci è giunto reale il grido dell’uomo. Rimarrà fissa nelle nostre menti, e a memoria nella storia, l’immagine di una piazza S. Pietro vuota con papa Francesco in preghiera e sullo sfondo il crocifisso ligneo e l’immagine della Madonna: nella sera di quel venerdì 27 marzo, la potenzialità della rete ha portato tanti uomini e donne in cerca di un senso ai piedi di quella croce , in quel sagrato dove è risuonato contemporaneamente nel mondo reale e in quello digitale, il grido dell’uomo credente: “svegliati, Signore”. Ma è risuonata pure la parola del Figlio di Dio, incoraggiante “Voi non abbiate paura”.
Questo nuovo modo di comunicare ha rivelato alcuni punti di forza e altri di debolezza. Il lock-down ha permesso di fare esperienza di pastorale digitale quale tecnologia di comunità, ovvero un’opportunità per ri-conoscersi, sentirsi parte “curata”, anche a distanza fisica, di una comunità credente. Ciò è accaduto anche in comunità piccole, e non sempre in situazioni ottimali in quanto a strumenti e connessione. In modo particolare con la messa mattutina in Santa Marta si è fatta quotidiana esperienza di Chiesa universale “visibilmente”, “emotivamente”, “visceralmente”. Il papa si è fatto prossimo. Dobbiamo essere Chiesa anzitutto in ascolto; una Chiesa che non ha sempre la pretesa di dare risposte, ma le cerca con l’uomo nella sua situazione di vita. Il ricordo del lock-down, con le sue ricadute pastorali, si spera scoraggi nella vita di una comunità frasi come: “Si è sempre fatto così!”, consapevoli che l’imprevedibile sopraggiunge e ci cambia.

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